Contributo del C.S.A. Vittoria di Milano all’assemblea nazionale a Napoli del 29 settembre 2019

Inviato da redazione il Mer, 25/09/2019 - 14:14
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Dopo aver assistito alla caduta del governo per il suicidio politico del bulletto ipertrofico Salvini, le alchimie di palazzo, anche su pressioni di Mattarella, ci lasciano un’inedita maggioranza PD-5stelle a sostegno di un Conte-bis.

Un governo che, anche da un punto di vista formale, garantirà una convinta ricollocazione dell’Italia nell’alveo europeista dopo le sbandate populiste e nazionaliste leghiste, nonché la sostanziale prosecuzione della subordinazione ai vincoli di bilancio con conseguente ulteriore indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori e di consolidamento del comando capitalistico e di disciplina del lavoro.

Una politica fortemente classista che sarà, presumibilmente, meno sguaiata e razzista di quella del precedente governo a trazione leghista ma che confermerà la subordinazione agli interessi del padronato italiano nel perseverare nella svalutazione del lavoro e dei salari e nell’attacco ai diritti.

L’attacco quotidiano, pervasivo, insistito portato a profughi e immigrati su tutti i mezzi di informazione e social da Salvini è ora interrotto o, quantomeno, ridimensionato ma, purtroppo, ha già agito nel profondo della società parcellizzandola, frantumando rapporti, creando una falsa insicurezza e, in particolare, indebolendo la classe. In ciò sedimentando ideologicamente e culturalmente un comportamento, una sorta di subcultura ed essere sociale fascistoide da affrontare e con il quale dovremo fare sempre di più i conti.

L’accantonamento dell’estensione della flat tax, dell’autonomia differenziata e presumibilmente delle norme più retrive e xenofobe dei decreti sicurezza (ma non della parte di inasprimento della repressione delle lotte sociali, logistica e casa in primis, o della precarietà di status utile per avere manodopera docile e ricattabile) segnano infatti un cambio di passo che, però, non prefigura alcun reale vantaggio per il proletariato.

Ciò appare ancora più palese se si leggono i primi provvedimenti in materia economica in discussione: un nuovo provvedimento sulla rappresentanza sindacale che confermi e ribadisca il monopolio di Cgil-Cisl-Uil, con un consenso tra i lavoratori comunque in caduta libera, per limitare l’agibilità del sindacalismo di base e conflittuale; il tanto sbandierato taglio del cuneo fiscale (pagato con la la fiscalità generale) per redistribuire una parte minima di reddito che sarà probabilmente poi compensato da ulteriore riduzione della spesa pubblica per scongiurare l’applicazione delle clausole di salvaguardia e l’aumento dell’IVA.

Questo accade in un contesto di competizione internazionale sempre più intensa e aggravata da dazi e “guerre monetarie” e dal peggioramento della crisi del capitalismo occidentale che sta sempre più investendo il “vecchio continente” e il suo traino economico tedesco.

Un sistema, quello comunitario, disegnato dalla Germania riunificata sulle esportazioni e sulla forza della propria economia, capace di imporre ai paesi aderenti politiche di austerità (soprattutto in termini di contrazione salariale e di precarizzazione) e tagli alla spesa pubblica per rispettare i limiti massimi di debito pubblico, metro di valutazione della stabilità del singolo paese.

Un sistema che, con il calo delle esportazioni tedesche, mostra tutti i suoi limiti con conseguenze negative per l’intero complesso comunitario, in particolare per quei distretti, tra cui il nostro nord-est, alle prime strettamente legati.

E, a cascata, sul proletariato dei singoli paesi membri che sarà costretto a lavorare a salari sempre più bassi e in condizioni sempre più deteriori per permettere al padronato di recuperare quote di profitto e competitività in discussione.

Ma non potrebbe essere altrimenti: le contraddizioni materiali create dai rapporti di produzione capitalisti e i conseguenti rapporti sociali, ora fatti di sopravvivenza individuale, guerra tra poveri, razzismo e debolezza di classe, sono infatti ancora ben presenti e prescindono dai governi e dalle anime belle che si illudono di aver ora un “governo di sinistra”.

L’aver allontanato la Lega non risolve alcunché, se non aver presumibilmente solo procrastinato la formazione di un prossimo esecutivo che spingerà per il superamento della stessa democrazia parlamentare borghese, nel contesto economico globale accennato prima e cioè di crisi strutturale non arginabile e di conflitti interimperialistici più stringenti con coloro che sempre più assumono il ruolo di protagonisti nel mercato globale (Cina in testa).

E lo scenario potrebbe ulteriormente acuirsi ove in medioriente si scatenasse l’ennesima aggressione imperialista a difesa degli interessi occidentali al petrolio, idrocarburi e controllo di un’area strategica.

Contraddizioni queste che risultano essere ancor più insuperabili nell’assenza perdurante di una chiara e diffusa identità e prospettiva di classe.

In questo quadro, l’assemblea di domenica 29 settembre a Napoli e il percorso in atto sino allo sciopero del 25 ottobre e al corteo nazionale del 26 ottobre a Roma rappresentano un importante tentativo per iniziare a invertire la sostanziale debolezza in cui versa la sinistra di classe, per produrre un’adeguata critica di classe che individui obiettivi e interventi praticabili per unire, su basi non settarie né settoriali, quegli episodi di scontro di classe fatto di picchetti, scioperi, occupazioni, lotte territoriali e contro le devastazioni ambientali a oggi disaggregati, scomposti o edulcorati da messaggi e richiami riformisti che non mettono in discussione il sistema di produzione nel suo complesso. Tra gli altri i riferimenti e i connotati che caratterizzano le recenti mobilitazioni sui cambiamenti climatici, certamente importanti ma oggi chiamate pressoché esclusivamente su parole d’ordine compatibili con un capitalismo un po’ più ecologista e non per un cambio di paradigma del rapporto uomo-natura.

Un fronte di classe per ricomporre il lavoro scomposto nei mille rivoli delle nuove forme dell’ organizzazione capitalistica del lavoro.

Un fronte unitario che sia anticapitalista, antirazzista, antisessista e internazionalista, che riesca a strutturarsi e organizzarsi per generalizzare e sviluppare lo scontro di classe e reggere alla reazione e alla repressione, anche militare e giudiziaria, che sarà sempre più aspra e di cui si vedono i primi decisi segnali.

qui il link con il comunicato di indizione del SI Cobas:

https://sicobas.org/2019/08/08/internazionalismo-per-la-costruzione-del…