Inviato da redazione il Gio, 24/01/2019 - 12:10
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LOTTA DI CLASSE

Contro l’ondata repressiva e razzista
Smascheriamo l’imbroglio del finto cambiamento
Rilanciamo l’opposizione di classe al governo Di Maio-Salvini
Costruiamo il fronte unico anticapitalista

ASSEMBLEA NAZIONALE
SABATO 2 FEBBRAIO, ORE 10,30
sede SI Cobas di Bologna, via A.Saffi 30

Ci siamo appena messi alle spalle un autunno per certi versi “anomalo”: mentre per anni, alle evocazioni estive di un “nuovo autunno caldo” faceva seguito, puntualmente, una realtà sociale quantomeno tiepida, quest’anno di caldo non sono rimaste neanche i proclami ufficiali dei movimenti e del sindacalismo (sia confederale che “di base”) e di quel che resta della sinistra radical-riformista.

Ciò è segno evidente del “terremoto”, al contempo politico e sociale, rappresentato dall’approdo al governo di due formazioni (Lega e 5 Stelle), capaci di capitalizzare (sul piano elettorale e non solo) il malcontento popolare diffuso per gli effetti della crisi sistemica del capitalismo, e di conquistare il consenso di quei segmenti di proletariato che per decenni hanno costituito la roccaforte del riformismo e del sindacalismo confederale.

I primi mesi di governo Lega-5 Stelle, lungi dall’invertire questa tendenza, l’hanno rafforzata, e ciò malgrado i proclami di “cambiamento” e la ridicola propaganda sul “mettere fine alla povertà” si siano dimostrati nient’altro che una gigantesca truffa.

Tutto l’impianto agitatorio su cui Di Maio e compagnia si sono garantiti il successo elettorale dello scorso 4 marzo si è disintegrato come neve al sole non appena ha iniziato a fare i conti con gli interessi della classe dominante e con le compatibilità e i diktat imposti dall’UE sul piano continentale:

  • il reddito di cittadinanza, pur essendo stato letteralmente stravolto il già più che discutibile impianto originario, è ancora fermo al palo. Anche qualora vedesse la luce, è oramai del tutto evidente che si tratterà di una misera elemosina di Stato per una piccola fetta di “ultranullatenenti”, che sarà funzionale a una nuova ondata di finanziamenti occulti ai padroni (i quali si approprieranno dell’intero montante e dell’intera durata del reddito di cittadinanza nel caso assumessero i beneficiari) e soprattutto costringerà i disoccupati ad accettare qualsiasi offerta di lavoro (presumibilmente quelle in condizioni schiavistiche e sottopagate, dato che il “governo del cambiamento si è ben guardato dall’abolire il Jobs Act di Renzi così come aveva promesso) e finanche ad essere obbligati a trasferirsi a centinaia di chilometri dalle loro residenze: in sostanza (e non è un caso!), vere e proprie deportazioni di Stato, analoghe a quelle patite già da decenni dai proletari im migrati che sbarcano sulle nostre coste.
  • I voltafaccia sui temi ambientali (Tav, Ilva di Taranto, Tap, inceneritori, Ponte Morandi, ecc.), mascherati dietro la foglia di fico degli Studi di fattibilità e/ dei Piani industriali, hanno svelato in maniera inequivocabile e agli occhi di migliaia di attivisti e semplici cittadini colpiti dagli effetti delle “grandi opere” e devastazione ambientale l’inconsistenza, l’ipocrisia e la sete di potere dei 5 Stelle.
  • La stessa propaganda di regime attorno a “quota-100”, si traduce nella realtà in un provvedimento di vincoli, rinvii temporali e una consistente decurtazione delle risorse previste (da 6,7 a 4 miliardi) tale da non intaccare minimamente l’impianto della “riforma Fornero” e mantenere nella miseria milioni di pensionati o aspiranti tali.

Queste solo le principali “chicche” di 9 mesi di governo gialloverde, sufficienti ad evidenziare come, nella sostanza, le condizioni di vita e salariali dei lavoratori e dei proletari, non solo non sono minimamente cambiate in meglio rispetto all’epoca dei governi tecnici e a guida PD, ma qualora dovessero cambiare, tale cambiamento sarà sicuramente in peggio: non è un caso che l’aumento delle tariffe di acqua, luce e gas è già una realtà, e che la contropartita già annunciata per la copertura dei miseri sussidi di Di Maio a garanzia del rispetto del Fiscal Compact e del Patto di Stabilità UE, blindati dai precedenti governi con il loro inserimento in Costituzione, sarà quasi sicuramente un forte inasprimento delle aliquote IVA.

A questo triste “ritorno alla realtà”, dopo mesi di propaganda e di annunci, non fa tuttavia da contraltare una ripresa su larga scala delle mobilitazioni e della lotta di classe.

Ciò a nostro avviso si spiega non solo con l’odio di gran parte dei proletari, oramai più che manifesto e a nostro avviso sacrosanto, nei confronti di quei partiti e di quelle organizzazioni sociali e sindacali che tuttora rappresentano la ”opposizione ufficiale”, ma anche con la capacità politica della Lega di Salvini di occultare i fallimenti, i voltafaccia e le capitolazioni sull’altare degli interessi della grande borghesia, spostando tutti i riflettori politico-mediatici sull’unico, vero cavallo di battaglia della Lega e dei segmenti di piccola e media borghesia che ne costituiscono la roccaforte di consenso: la ”emergenza-sicurezza” e la ”invasione immigrata”.

Il ministro dell’Interno ha in quest’ottica avuto la capacità di cavalcare in chiave reazionaria le paure e le “suggestioni” dell’ “elettore medio” (sapientemente indotte da media e politica) a tal punto da imporre il tema della sicurezza quale unica, vera emergenza nazionale, alimentando e rinfocolando le tendenze più retrive, bestiali e fascistoidi della piccola borghesia facendo breccia in ampi stati di proletariato privo ormai da anni di qualsivoglia rappresentanza politica e sindacale, e trascinando l’intera opposizione “democratica” e buona parte degli stessi movimenti sociali sul terreno di scontro ad esso più congeniale: quello di un presunto, permanente referendum tra sicurezza e “accoglienza”, tra “legalità” e “solidarietà”.

Un referendum dagli esiti scontati, laddove la crisi capitalistica riduce fette di salario, di reddito e di tutele per tutti i proletari e laddove, in assenza di una soggettività collettiva autonoma e di classe, la miseria crescente porta milioni di sfruttati ad abboccare alla facile ed illusoria propaganda del “prima gli italiani”.

Uno schema fatto proprio e capitalizzato dalle forze reazionarie e di estrema destra in tutta Europa.

In un tale contesto, l’assenza di mobilitazioni di massa in questi mesi é la riconferma non solo del fatto che lo “schema-Salvini” funziona alla perfezione, ma è altresì la riprova del fallimento e dell’agonia storica in cui versa, a livello internazionale, l’intero panorama della sinistra riformista e liberale, la quale, a fronte dei colpi durissimi sferrati dalla crisi, si dimostra inservibile e nociva finanche dal punto di vista della difesa degli spazi di agibilità e della difesa dei “diritti” democratici.

Il crollo verticale di consensi, di credibilità e di popolarità a cui assistiamo in gran parte dell’Europa sia nei confronti dei tradizionali partiti borghesi-liberali, sia soprattutto nei confronti dell’intero arco delle “sinistre”, in primo luogo di quelle resesi complici dei governi di austerità e di macelleria sociale, oggi si manifesta sul piano politico nell’unica forma resa possibile dal quadro storico e dai rapporti di forza attuali tra le classi, ovvero in una crescita esponenziale delle tendenze populiste e sovraniste, dell’interclassismo reazionario e dell’estrema destra di impronta trumpista.

Queste tendenze, che per l’intero panorama delle sinistre riformiste rappresentano una “emergenza” da combattere per restituire un involucro “autenticamente democratico” al sistema di sfruttamento e di oppressione capitalistico, per noi rappresentano, al contrario, la spia di uno sconquasso legato alla crisi dell’attuale sistema di produzione, il quale tende, e tenderà sempre più nei prossimi anni, a produrre rotture, rivolgimenti e sommosse sociali.

Il caso del movimento dei “gilet gialli” in Francia, al netto delle particolarità del modello sociale e della tradizione di lotta che caratterizza l’oltralpe, rappresenta un esempio da studiare per comprendere quali forme e configurazioni assumeranno le rivolte sociali nei paesi a capitalismo avanzato negli anni a venire: se è vero che il collasso delle forme storiche di rappresentanza del riformismo si manifesta in un primo momento attraverso forme di protesta e di aggregazione dai contorni confusi e dai contenuti interclassisti, il caso francese dimostra che la capacità della soggettività proletaria di “scendere in campo” in nome dei propri interessi materiali, una volta libera dalla cappa delle compatibilità e dalle logiche dei compromessi al ribasso veicolate per decenni dal riformismo, rappresenta una combinazione di fattori non solo capace di neutralizzare sul nascere i tentativi egemonici dell’estrema destra, ma anche di riaprire un varco sulla strada (da sempre complessa e impervia) di una reale alternativa di classe, quindi di una rottura rivoluzionaria dell’esistente.

A chi nel nostro paese si pone in quest’ottica non serve tanto lanciarsi in evocazioni a uso e consumo propagandistico-elettoralistico, del tipo “facciamo come in Francia”: urge piuttosto mettere a punto un piano di lavoro e una macchina organizzativa utile innanzitutto ad individuare e analizzare i punti di rottura e le priorità di intervento attuali e potenziali nella nostra classe di riferimento, e su queste basi indicare le forme di azione e di mobilitazione possibili in questa fase.

Ricollegandoci a quanto affermavamo in apertura, se è vero che questi primi otto mesi di governo gialloverde hanno con ogni probabilità rappresentato il punto più basso delle mobilitazioni negli ultimi vent’anni, è altrettanto vero che, da anni a questa parte, assistiamo a una crescita costante e senza soste di lotte, scioperi, picchetti, manifestazioni e occupazioni che vedono in prima fila i lavoratori immigrati, sulla base di contenuti e rivendicazioni classiste e in una prospettiva di unità degli sfruttati su basi anticapitaliste.

Non è un caso che il DL Sicurezza di Salvini, nel mentre si scaglia con forza contro gli immigrati radicalizzando la politica di chiusura delle frontiere e di limitazione della concessione di asilo, residenza e cittadinanza già fatta propria dal PD col DL Minniti, dedica particolare attenzione all’inasprimento della repressione e delle pene detentive contro chiunque organizzi e promuova forme di protesta contro l’”ordine costituito”, in particolar modo contro gli occupanti di case e contro chi organizza picchetti e blocchi stradali.

Al di là delle paranoie securitarie dei suoi estensori, è evidente che queste misure sono chiaramente tese a colpire chi nel nostro paese in questi anni ha rappresentato la principale “spina nel fianco” per i padroni: in primo luogo il movimento dei facchini della logistica e le migliaia di lavoratori che in questi mesi stanno allargando questo movimento in altre categorie (alimentaristi, chimici, metalmeccanici, ecc.).

Il fatto che la gran parte di coloro si sono scagliati contro il DL Salvini non faccia minima menzione delle implicazioni che questo decreto comporta nell’intero mondo del lavoro, del colpo durissimo da esso sferrato a chiunque osi opporsi nei fatti allo sfruttamento e alla demolizione dei diritti, e del pesante attacco al diritto di sciopero che in esso è contenuto, è il segno tangibile dell’ipocrisia e della strumentalità di quei rottami della “sinistra” che vedono nel cinismo di Salvini sulla questione-sbarchi solo un occasione di riscossa elettorale o, peggio ancora, un pericolo per il “business dell’accoglienza” messo sapientemente in piedi dai governi di centrosinistra a uso e consumo di cooperative senza scrupoli.

Al contrario, per quanto ci riguarda, l’opposizione al DL sicurezza e alle politiche del governo Lega-5 Stelle rappresenta una risposta urgente e necessaria che dobbiamo innanzitutto a quelle migliaia di lavoratori e di proletari che in questi anni, grazie a lotte ritenute “illegali”, hanno saputo conquistarsi il diritto a una vita e a un salario dignitoso.

La manifestazione nazionale dello scorso 27 ottobre, riuscita al di la di ogni più rosea previsione, per noi non ha certo rappresentato un punto di arrivo, bensì di partenza, al fine di ricollegare e riconnettere quel tessuto di lotte finora disperse e polverizzate.

Sappiamo di non essere soli: le manifestazioni contro il DL sicurezza dello scorso 10 novembre e quelle del popolo “No Tav” a Torino, le mobilitazioni di “no-borders” a Ventimiglia e in Sicilia, la ripresa del movimento delle donne in risposta ai rigurgiti sessisti e patriarcali di cui anche questo governo si fa portatore, rappresentano per noi un patrimonio che possiamo e vogliamo riconnettere col nostro percorso, su basi chiare e liberi dalle ritualità elettorali della politica borghese, ivi comprese le prossime europee, in occasione delle quali siamo intenzionati a lanciare una campagna di boicottaggio attivo.

In questi mesi la scure della repressione ha ripreso ad agire più forte e più determinata di prima.

Lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle a partire da alcune durissime vertenze sindacali, che a nostro avviso rappresentano la fotografia più nitida dei piani di padroni e governo: le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici al Panificio Toscano, alla Italpizza di Modena e alla Toncar di Muggiò, con fermi, cariche a freddo, denunce e procedimenti penali a pioggia, rappresentano un monito chiaro per tutti i lavoratori e gli sfruttati; parimenti, le condanne pesantissime inferte a lavoratori, sindacalisti del SI Cobas e militanti solidali per uno sciopero di diversi anni fa alla Dhl di Milano, sono la riprova di cosa intenda questo governo, le sue questure e i suoi tribunali quando afferma di voler “abolire la povertà”: eliminare non certo le cause della povertà, bensì di sopprimere in maniera spietata chiunque lotti contro sfruttamento e oppressione.

Per noi, e crediamo per l’intero movimento di classe, gli esiti del processo a carico del coordinatore nazionale del SI Cobas Aldo Milani, il quale si avvia a conclusione, rappresentano senz’altro un possibile spartiacque.

In questi anni abbiamo dimostrato che i padroni non possono eliminare il germe della lotta di classe colpendo la testa delle sue organizzazioni: nei prossimi mesi dobbiamo essere pronti a fare altrettanto.

Già in queste ore la scure repressiva, di cui il DL Salvini rappresenta la principale ma non certo l’unica punta di lancia, inizia a colpire con violenza attivisti e avanguardie di lotta: l’arresto ad ottobre della compagna dello Slai Cobas per il sindacato di classe Margherita Calderazzi a seguito di un inchiesta sulle lotte dei disoccupati a Taranto, le condanne pesantissime prospettate agli studenti del liceo Virgilio di Roma a seguito dell’occupazione dello scorso autunno, la continua ondata repressiva contro il movimenti No Tav, No Tap e No Muos, i compagni e le compagne a Torino colpiti per aver combattuto l’Isis in Siria con lo Ypg, e nelle ultime ore, il provvedimento di espulsione dal territorio italiano nei confronti di Madalina, una compagna rumena (dunque anche comunitaria!) attiva nei movimento romano per il diritto all’abitare (cioè sullo sfondo di una nuova pesante tornata di sgomberi a tappeto prospettata a più riprese dal governo) sono solo i casi più eclatanti.

Per questo motivo, crediamo che vada aperto un confronto largo tra tutti coloro che nei prossimi mesi saranno chiamati a resistere all’escalation repressivo-securitaria: in un contesto come quello attuale, chiunque si illuda di poter essere autosufficiente, di potersela “cavare da solo” o di poter in qualche modo “limitare i danni”, commetterebbe un errore fatale sia per la proprie organizzazioni, sia per i proletari che esse rappresentano.

Il prossimo 8 marzo, data storica di mobilitazione del movimento delle donne, può essere un importante occasione per rilanciare la battaglia contro l’oppressione della donna da un angolatura chiaramente classista e internazionalista, e soprattutto per dar vita a un vero sciopero, che partendo dal tema della doppia oppressione della donna lavoratrice e dalla tripla oppressione della donna immigrata nella società capitalistica, sia capace di veicolare con ancor più forza le parole d’ordine della piazza di Roma del 27 ottobre e più in generale, l’opposizione di classe al DL Sicurezza.

D’altra parte, crediamo che mai come quest’anno vi sia la necessità di dar vita a un vero 1 maggio di lotta anticapitalista e internazionalista, capace di dar voce alle lotte operaie non solo in un un’ottica sindacale, bensì evidenziando la portata, il peso e le implicazioni politiche che queste lotte vanno sempre più assumendo nell’attuale fase di scontro di classe.

Ciò vale in maniera analoga per la specificità del meridione d’Italia, laddove le lotte operaie sono maggiormente stagnanti e, non a caso, la propaganda dei 5 stelle ha maggiormente fatto breccia, ma dove al tempo stesso sono in atto primi, importanti tentativi di sviluppare un fronte di lotta a livello di massa contro la disoccupazione e per il salario pieno e garantito.

Su questi temi il SI Cobas convoca per sabato 2 febbraio alle 10,30 a Bologna, presso la sede di via Saffi 30, un confronto pubblico a cui sono invitate a partecipare tutte le realtà che in questi mesi hanno contribuito alla costruzione delle iniziative di lotta comuni con una prospettiva internazionale e internazionalista, dunque valorizzando non solo il tessuto di relazioni che in questi anni si sono sedimentate a livello nazionale, ma anche i contatti che attorno a questa proposta si sono avviati in questi mesi con realtà politiche, sindacali e di lotta di altri paesi.

Al tempo stesso, auspichiamo che l’assemblea possa rappresentare un’occasione per allargare il confronto anche con tutte quelle soggettività che a partire dal terreno delle lotte immediate, condividono la necessità di ampliare, unificare e generalizzare l’azione di lotta politica contro le manovre padronali, dunque in primo luogo l’opposizione di classe al governo Lega-5 Stelle.

19/12/2018

SI Cobas nazionale

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