Dalla guerra di posizionamento tra le superpotenze per il controllo geopolitico e per l’allargamento della propria sfera di influenza i proletari hanno tutto da perdere

Inviato da redazione il Mer, 23/02/2022 - 17:19
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Contro i venti di guerra imperialista e contro lo sfruttamento di classe a fianco dei proletari russi ucraini ed europei.
 
SABATO 26 FEBBRAIO ORE 15,00 
concentramento in Largo Cairoli
 
Giriamo in allegato alcune brevi note per una motivata controinformazione contro la schierata gestione mediatica dello scontro interimperialistico in atto.
Abbiamo redatto queste note quando la guerra non era ancora dispiegata sul territorio ucraino ma rimane tutta valida l'analisi della situazione all'interno dei rispettivi blocchi. L'escalation delle armi deve essere solo uno sprone per dare maggior forze alle nostre posizioni antimperialiste e internazionaliste di solidarietà ai proletari ucraini russi ed europei e sostenere l'immediata uscita dalla Nato

 

Dalla guerra di posizionamento tra le superpotenze per il controllo geopolitico e per l’allargamento della propria sfera di influenza i proletari hanno tutto da perdere

Lunedì 21 febbraio, la Russia ha riconosciuto le repubbliche indipendentiste del Donbass, sancendo con i loro rappresentanti forme di collaborazione e di mutuo soccorso anche militare. Una mossa per molti versi scontata e attesa che formalizza una situazione già data sul terreno dei territori separatisti, ma che si colloca interamente all'interno del complessivo e complesso "gioco a scacchi" tra potenze imperialiste.

La finalità russa di porre un chiaro argine all'espansionismo della Nato sui territori facenti parte dell'ex URSS e dell'allora patto di Varsavia, nonché alle continue provocazioni armate ucraine ai propri confini, è un'ulteriore risposta all'interno di uno scontro diplomatico e/o di guerra "ibrida" che prosegue da tempo. Uno scontro che, in questi anni, si è dispiegato direttamente o per procura nei vari scenari mondiali, dalla Siria alla Libia, con effetti devastanti per interi territori e popolazioni. E l’Ucraina rappresenta l'ultimo esempio in ordine di tempo.

Un conflitto generalizzato tra superpotenze comunque in crisi nel rispettivo "fronte interno", sia economico che politico-sociale, aggravato dalla situazione strutturale internazionale uscita provata dalle conseguenze di due anni di pandemia intervenuta pesantemente in una crisi economica preesistente, e dalla necessità di ridefinire, in un contesto ormai multipolare, la necessità teleologica del capitalismo di valorizzazione delle merci prodotte (ergo, mercati) e dei capitali investiti.

Dal lato statunitense, con un Biden in crollo verticale per non aver mantenuto le promesse sociali con cui ha vinto le elezioni e incapace di affrontare le tensioni interne (dalla "questione razziale" ai vari competitori interni ancora legati a Trump, la fuga dall'Afghanistan), si assiste al prepotente ritorno di posizioni aggressive e interventiste determinato da differenti fattori.  In prima battuta, dalla necessità strategica di ristabilire il primato nei rapporti con l’Unione Europea che, da un lato, come confermato dalle dichiarazioni di Ursula von der Leyen, cerca di sganciarsi dal rapporto storico di vassallaggio rafforzando la propria indipendenza e difesa; dall’altro, di frenare scenari di partnership più stretta con la Russia accelerando le contraddizioni tra i paesi più atlantisti e quelli, invece, più vicini a posizioni filorusse (e favorevoli alla cooperazione, in primis Ungheria e Slovacchia). Questo secondo aspetto assume assoluta rilevanza anche in termini strettamente economici (e strategici): la rottura tra UE e Russia causata dall’eventuale conflitto in Ucraina, infatti, potrebbe permettere agli Stati Uniti di sostituirsi nell'esportazione ai paesi europei del gas ora fornito da Mosca (sebbene il gas prodotto dai primi, attraverso il c.d. fracking, ha costi di produzione e di trasporto ben più elevati di quello russo). In seconda battuta, un’eventuale guerra permetterebbe un rafforzamento del dollaro, bene rifugio per antonomasia insieme all’oro, e permetterebbe quel rialzo dei tassi chiesto da più parti per cercare di frenare un'inflazione che negli USA non si vedeva da decenni.

Un rialzo dei tassi che potrebbe anche contribuire al perseguimento dell’obiettivo di recuperare l’egemonia nei confronti dell'UE che non potrebbe reggere, con un’economia indebolita dalla pandemia e alla vigilia di un rallentamento della crescita globale, una "guerra" monetaria.                 

Ma per l’UE (e i paesi membri) si tratterebbe solo della continuazione dell'intenso attacco economico iniziato già all'epoca della presidenza Trump. Gli stessi costi per l’approvvigionamento energetico da tempo hanno spostato l’asse di diversi paesi europei a stringere accordi con la Russia o partner a essa legati e vicini con conseguenze rovinose da affrontare in caso di guerra. Non a caso i leader europei sono stati i primi a muoversi, seppur in ordine sparso, per cercare una soluzione diplomatica che eviti la chiusura dei rubinetti da parte di Putin. Le stesse possibili sanzioni risulterebbero essere controproducenti per i medesimi paesi strettamente dipendenti dalle forniture di Mosca, nonché per le numerose imprese europee proiettate a est. Ma soprattutto i costi verrebbero ulteriormente scaricati sulle classi subalterne già impoverite e atomizzate e su salari erosi dall’aumento esponenziale del costo della vita.

La Russia sta traducendo il discorso neo-imperiale e anticomunista (lunedì 21 febbraio) di Putin sostanziandolo sia con la "forza" del proprio apparato militare e la sua potenziale proiezione ben oltre i territori delle repubbliche del Donbass, sia con l’uso politico dell’esportazione delle proprie immense riserve di gas naturale indispensabili per le economie della vicina Europa. Terminata la parentesi trumpiana e l'opzione di un sostanziale disgelo con Putin anche per il contenimento della Cina, la Russia, come detto, deve ora affrontare il riemergere di un atlantismo sempre più aggressivo e vicino ai propri confini. E per far ciò, in una narrazione neozarista - con un pantheon dal quale non a caso sono esclusi la rivoluzione proletaria del 1917 e i suoi dirigenti - comunque utile a celare un'economia debole dominata da un'oligarchia estrattivista (la Russia è il secondo esportatore mondiale di petrolio e il primo di gas naturale), utilizza le armi della dissuasione anche per garantirsi la propria egemonia e l'espansionismo nella regione. Senza dimenticare che Mosca ha un nuovo mercato strategico di esportazione in Cina, con la quale sono sempre più stretti i rapporti commerciali, economici e politici, in questa fase di tramonto dell’egemonia globale yankee e, in generale, occidentale. E, infatti, nonostante le pressioni statunitensi in tal senso, la Cina, con il consueto richiamo alla diplomazia e all’esercizio della moderazione (anche per i forti interessi in Ucraina), non ha condannato le mosse di Putin, garantendo invece alcun intralcio ai numerosi accordi sottoscritti nell’ultimo periodo con la Russia. Un nuovo blocco egemonico alternativo, anche se con qualche contraddizione, agli USA è, nei fatti, in costruzione.

Il compito di ogni militante anticapitalista crediamo sia quello di denunciare lo scontro interimperialistico in atto, di denunciare lo smaccato ruolo di una stampa schierata supinamente sugli interessi atlantisti che contribuisce attivamente a creare un clima di ineluttibilità dello scontro armato determinato dal nemico russo. Dall'altro, è necessario non abbandonarsi ad atteggiamenti campisti ovvero di difesa di un imperialismo, sicuramente diverso da quello della NATO e statunitense, ma per molti versi equivalente e comunque oggettivamente e soggettivamente nemico di chiunque lotti per l’emancipazione del proletariato internazionale.

Deve essere quindi lanciata un’opposizione di classe alla guerra e ai suoi protagonisti denunciando senza esitazione il regime ucraino che, dopo il golpe di Maidan del 2014, è in mano a un’oligarchia corrotta e fascista, capace di orrendi crimini e stragi come quella di Odessa. L’antifascismo è un discrimine sempre e comunque. E che infine, nel denunciare la guerra interimperialistica, va ripresa con forza la parola d’ordine dell’uscita immediata dalla NATO senza se e senza ma.

A fianco dei proletari russi, ucraini ed europei contro la guerra imperialista!

Per la solidarietà internazionalista contro lo sfruttamento di classe!

 

C.s.a. Vittoria          

www.csavittoria.orginfo@csavittoria.org