CHI TOCCA UNA TOCCA TUTTE!

Inviato da redazione il Ven, 05/03/2021 - 23:00
Categoria
femminismo, lotta di classe

Khalida Jarrar è una prigioniera politica palestinese. La sua foto apre questo documento perché la sua lotta è la lotta di tutte noi, del popolo palestinese, delle classi sfruttate.

Chi tocca una, tocca tutte!

Oltre la ritualità dell’8 Marzo, la lotta femminista deve essere parte sostanziale della quotidianità delle lotte reali che mirano all’abbattimento della società borghese e capitalista per il cambiamento radicale dell’esistente


Mentre scriviamo sono già 11 le vittime di femminicidio dall’inizio dell’anno in Italia con la media di una donna uccisa ogni 5 giorni.
Durante la pandemia le chiamate ai numeri antiviolenza sono aumentate di circa il 70%.
Delle 444.000 persone che hanno perso il posto di lavoro nel 2020 la maggioranza sono donne.
Le donne, presenti in gran numero nei lavori ospedalieri, di cura, pulizia e nelle Rsa, sono state le più esposte al contagio.
I primi reparti chiusi per affrontare la malattia covid-19, sono stati i reparti dedicati alla salute delle donne. Consultori, punti nascita, centri antiviolenza sono stati chiusi a causa del taglio di 37 miliardi alla sanità; il diritto all’aborto viene continuamente messo in discussione, non solo con la presenza in quasi tutti gli ospedali dell’80%-90% di obiettori, ma anche dai continui attacchi delle campagne dei fondamentalisti religiosi con molti appoggi in parlamento (sono voti importanti) per abolire la 194 o renderla totalmente inefficace con leggi Regionali di chiaro stampo cattolico integralista.


Abbiamo voluto dare solo dei numeri, indicativi, che testimoniano come la condizione oggettiva delle donne sia ancora oggi economicamente precaria, socialmente insicura, culturalmente sottovalutata e messa in secondo piano rispetto agli interessi di un universo maschile capitalista.
Dalla salute al lavoro agli ambiti educativi, quello che appare evidente è che la lotta delle donne ha davanti a sé ancora lunghi percorsi da affrontare, resi ancora più ardui da una situazione sociale e istituzionale di generale imbarbarimento; in una fase di crisi economica peggiorata dalla crisi pandemica a pagare il prezzo più alto sono le donne.


LA LOTTA DELLE DONNE E’ LOTTA DI CLASSE E LOTTA DI LIBERAZIONE


L’oppressione delle donne (tutte coloro che scelgono di essere donne) non è un fatto naturale, è un dato storico sviluppato e incrementato in tutti gli ambiti: economico, politico, sociale e culturale.


Abbiamo alle spalle oltre duemila anni di patriarcato che hanno modellato l’immaginario delle donne e sulle donne e di cui si è appropriato il capitalismo che prospera su tutto ciò che divide le classi subalterne. Sessismo, fortemente legato al razzismo, e capitalismo sono aspetti simmetrici e complementari. Le rivendicazioni femministe riguardano tutte e tutti nell’ottica di un cambiamento complessivo, non solo economico, dell’esistente.


Questo vuol dire che anche quando si fa parte di percorsi di emancipazione sociale e di classe e si affrontano le contraddizioni di genere con accondiscendenza o paternalismo non si è veramente e complessivamente schierati per una reale emancipazione dalle catene economiche, ideologiche, culturali e sociali che il capitalismo impone.


Quando invece i luoghi di comando maschile diventano permeabili alla presenza di donne, anche qualora qualcuna sembri mettere in discussione la propria subordinazione al patriarcato senza scimmiottare il maschio alfa, questa è e rimane comunque parte integrante della continuazione dello sfruttamento e dell’oppressione non solo di genere, all’interno della classe degli sfruttati. Parallelamente peraltro alla subordinazione e al silenziamento per essere funzionale alla divisione del lavoro capitalista e utile alla creazione di un costante esercito di riserva, anche sottopagato, in virtù della marginalizzazione della condizione sociale delle donne al ruolo di riproduzione dei salariati da sfruttare.


I desideri delle donne e loro aspirazioni sono posti sotto controllo sociale, grazie ad un sistema educativo che le vuole modellare, convincendole che la stima di sé e la loro felicità sia conseguenza unica del rispetto di schemi e regole imposti e che le bloccano al gradino sociale più basso. Gli scopi vitali delle donne devono quindi riguardare la procreazione (oggi più che mai le forze politiche sostengono con campagne oscene questa funzione di “incubatrici”), la gestione della famiglia (asservita agli interessi capitalistici), la felicità e la realizzazione degli uomini trasformando sé stesse in serve disponibili e sorridenti, curate fuori e dentro casa, da poter mostrare con orgoglio.


Il linguaggio, spesso sottovalutato, è piena parte di questa educazione al sessismo, alla discriminazione di genere, alla mistificazione di una realtà fatta di disuguaglianza e oppressione (non vogliamo dimenticare anche razzista e omofoba), attraverso luoghi comuni…lo dicono tutti…è un modo di dire ... si dice per scherzare…è sempre stato così.

 

femminismo

 

La retorica della libertà femminile, propagandata dalla cultura dominante, ha il solo obiettivo di mascherare la reale condizione e i bisogni reali delle donne, in modo da non sconvolgere l’ordine sociale imposto e necessario a sollevare gli uomini dai lavori meno soddisfacenti e più degradanti, nonché di celare il progressivo disinvestimento per le spese sociali scaricando il peso dell’attività di cura esclusivamente sulle donne. Questa retorica concede solo l’idea borghese che anche le donne possano pensare alla “carriera” anche arrivando a occupare le leve di comando (il potere capitalista non è questione di genere, chi sfrutta non è meglio se è donna) e chiede che debbano essere impiegate a tempo pieno nella forza lavoro salariata, in un’ottica di “inclusione” e di “uguaglianza”. Ma nella realtà le donne sono per la maggior parte impiegate in lavori con contratti precari o senza contratto, costrette al part-time e, a parità di lavoro, a percepire un salario inferiore rispetto agli uomini, con la conseguente impossibilità per molte di conquistarsi un’autonomia economica.


L’esempio tragico delle fabbriche tessili sparse per il mondo, colpevoli della morte e della sofferenza di migliaia di donne, ci consegna l’immagine plastica dello sfruttamento imperialista: salari da fame (in paesi dove la povertà è donna questo impedisce la possibilità di costruirsi una vita lontana da una famiglia, magari violenta), prodotti chimici utilizzati e conservati senza misure di sicurezza con ciò che ne consegue in termini di vita e salute; la tragedia in Bangladesh della fabbrica esplosa, dove multinazionali quali Benetton/H&M ecc.. erano coinvolte, e a Tangeri dove le lavoratrici sono morte annegate in uno scantinato, hanno purtroppo scosso ben poche coscienze.


La doppia oppressione economica e sociale rende ancora più difficile la condizione delle donne immigrate le quali vivono sotto il ricatto costante del permesso di soggiorno in una società permeata di razzismo, obbligate ai lavori più pesanti e solitari, si pensi alle migliaia di badanti, costrette ad affrontare ogni situazione contando solo sulla loro forza o alle migliaia di donne stuprate e forzate alla prostituzione mentre cercavano solo di migliorare la propria esistenza.


La prostituzione, che non coinvolge solo le donne immigrate vittime di tratta, non è una libera scelta, mai e in nessun caso anche se prodotta da condizionamenti che inducono alla mercificazione della propria esistenza, per questo non è possibile, in una prospettiva di liberazione delle donne dal giogo del patriarcato, sostenere la sua legalizzazione.


Sul posto di lavoro le lavoratrici continuano a denunciare aggressioni sessiste, molestie verbali e violenze. Ma tanti sono gli esempi di lotta attraverso la quale pongono bisogni reali come la conciliazione di vita e lavoro, il diritto all’utilizzo dei permessi di lavoro, il diritto alla maternità pagata al 100% anche per le lavoratrici precarie e part-time, la sicurezza sul lavoro non solo in termini di salute ma di sicurezza contro le molestie che implica un cambiamento culturale e non di certo di mera legalità.             


La nuova frontiera del c.d. smartworking e il lavoro da casa, poi, rappresenta la costrizione a un’ulteriore ghettizzazione delle donne nei lavori di cura di casa e famiglia, trasformando il tempo di vita delle donne in tempo di lavoro pagato e non pagato senza soluzione di continuità.


A fronte di questo rivendichiamo e lottiamo per:

  • lavoro stabile e sicuro o salario garantito per disoccupate/i, precarie/i e cassintegrate/i;
  • Patrimoniale del 10% sul 10% più ricco della popolazione i cui proventi vanno destinati ai salari e alla spesa sociale
  • maternità pagata al 100% per tutte
  • aborto assistito, libero e gratuito
  • diritto al lavoro per tutte le donne, contro la precarizzazione e il lavoro a distanza
  • potenziamento dei servizi di welfare, socializzazione della cura dei figli
  • basta violenza sui corpi delle donne
  • permesso di soggiorno europeo
  • sostegno e supporto alle donne vittime di tratta o costrette per cause economiche o famigliari a prostituirsi
  • per una sessualità libera e consapevole
  • educazione ad un linguaggio anti-sessista
  • casa per tutte

Le lotte delle compagne in tutto il mondo, dall’India all’Argentina, dalla Polonia alle combattenti curde, yazide, siriane, turche, internazionaliste contro l’Isis, ci ricordano che le donne sono determinate e in prima fila in tutte le battaglie della classe lavoratrice contro lo sfruttamento capitalista.


Il mondo immaginato dal femminismo è l’altra faccia del mondo immaginato dal comunismo e dal marxismo, dove la liberazione dal capitalismo è possibile solo attraverso la liberazione dal patriarcato.


La presa di coscienza delle donne è un percorso difficile perché siamo costrette a mettere in discussione per prime noi stesse e poi ogni ambito della nostra vita, il coraggio di questa lotta sta proprio nel superamento della paura…di perdere solo le nostre catene, nella consapevolezza che nelle lotte si trova solidarietà e sostegno, ma nessuno lo farà per noi!


Per questo saremo sempre nelle lotte rivendicando le nostre posizioni senza passi indietro, solidali con tutti/e gli/le sfruttati/e, guardando avanti per la costruzione del comunismo libero dal patriarcato.

Le compagne e i compagni del Csa Vittoria


Il Csa Vittoria aderisce al Patto d’Azione per un fronte unico di classe
www.fronteanticapitalista.org

lotto marzo

 

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