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NO ALLO STATO DI POLIZIA NO AL DECRETO LIBERTICIDA

SICUREZZA E’ LAVORO, SALARIO, CASA, DIRITTI SOCIALI!

Con l’ultimo passaggio in Senato martedì scorso il decreto-legge “sicurezza” è stato convertito in legge senza modifica alcuna. Una fine scontata, sottolineata dalla fiducia posta dal governo in entrambi i rami del parlamento, che segnala – ove ce ne fosse ancora bisogno – la natura programmatica e strategica per il governo Meloni-Salvini-Tajani dell’introduzione di norme con finalità tanto preventiva quanto repressiva di ogni forma di dissenso.

Una sequela di nuove fattispecie di reato e di draconiane aggravanti di pena che disegnano un rigido impianto sicuritario all’interno del quale il conflitto sociale in ogni sua forma vuole essere perimetrato dall’esecutivo e che offre platealmente alle forze di polizia, alla magistratura, una strumentazione pressoché illimitata per reprimere duramente anche la semplice protesta (dall’estensione del DASPO urbano all’inasprimento delle sanzioni). Ciò con la garanzia di impunità regalata alle medesime forze della repressione (e ai servizi segreti) anche nel caso di abusi e di violenza, legittimando la gestione ancor più aggressiva e repressiva delle piazze e dell’ordine pubblico.

Ogni forma di lotta, ogni azione anche non violenta come la semplice resistenza passiva o il blocco stradale viene criminalizzata e punita; l’opposizione alle grandi opere (da ultimo, il folle progetto salviniano della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina), le mobilitazioni e le lotte ambientaliste e contro la crisi climatica, la resistenza operaia e le forme di radicalità espresse negli ultimi anni (dalle lotte dei facchin* della logistica, alla GKN di Campi Bisenzio e alle diverse fabbriche in lotta) o le mobilitazioni per la difesa e l’estensione dei diritti sociali sostanziali (ad esempio, l’occupazione per necessità di case sfitte, le proteste contro gli abusi carcerari o nei CPR agite anche da parte di solidali) saranno ancor più criminalizzate. La possibilità stessa di manifestare, di scioperare, di propagandare un pensiero critico sono in discussione diventando nei fatti un possibile oggetto di indagine penale di qualche zelante questurino o procuratore.

Crediamo che queste norme non siano solo la conseguenza esclusiva o l’ultima ricaduta della natura fortemente autoritaria propria dell’attuale compagine governativa che quotidianamente, nel proprio agire e nella sua rappresentazione ideologica, dà cinico sfoggio del suo DNA (con radici ben piantate e mai recise con il ventennio fascista) disciplinare, razzista, retrogrado e regressivo. Ma che invece siano parte di un progetto più complessivo di trasformazione della nostra società in senso autoritario che travalica i confini nazionali e trova specularmente pari esempio in tutte le cosiddette formali democrazie occidentali che, nella frenetica corsa al riarmo, stanno approntando la strumentazione giuridica necessaria per la pacificazione coatta dei rispettivi fronti interni e il controllo “militare” delle possibili conflittualità in qualsivoglia modo declinate e praticate.

L’affinamento della repressione, comunque intrinseca al dominio di classe, è cartina di tornasole dello stadio di svuotamento progressivo della stessa “democrazia parlamentare” che sottolinea il ruolo di agente diretto di “comando” del potere economico capitalista del potere esecutivo.

L’esplosione delle contraddizioni sul mercato mondiale globale che si traduce in fronti e teatri di guerra (commerciale o militare, già esplosi o comunque minacciati, o di accaparramento di risorse), il riposizionamento dell’imperialismo USA (anche per trovare un’impossibile soluzione all’enorme debito estero e limitare l’espansione della Cina) segnalano che i diversi imperialismi accelerano sul riarmo per accompagnare la propria proiezione esterna e prepararsi a conflitti di più ampia portata imposti dalla competizione capitalistica. Il piano inclinato sempre più ripido sul quale il mondo sta scivolando non potrà che accelerare e inasprire queste dinamiche.   

Ma le politiche di corsa agli armamenti rappresentano anche il tentativo in primis europeo di rilanciare un nuovo ciclo di accumulazione (peraltro pressoché interamente dominato dalla finanza), con la programmata riconversione di settori dell’industria e l’azione della Banca Europea degli investimenti orientata al finanziamento, imposto dalle dinamiche materiali proprie del modo di produzione capitalistico e della nuova fase in cui è entrata la crisi dello stesso. Predominio della finanziarizzazione, della centralizzazione dei capitali accompagnata comunque da politiche di austerità, nonché, come detto, di una competizione internazionale sempre più dura ed estesa per profitti e risorse strategiche, ne sono la grammatica di immediata evidenza. E questa ha quale conseguenza anche la necessità di assecondare da un lato le pulsioni più retrive di disciplinamento e di controllo sociale dei rispettivi esecutivi e, dall’altro, elevano ulteriormente i livelli di gerarchizzazione e di arruolamento ideologico per adeguarli a un’economia di guerra in rapida progressione.     

Tutto ciò, dal punto di vista di classe, della nostra classe, non potrà che tradursi in ulteriori tagli salariali e della spesa sociale che preludono a un progressivo massacro sociale già peraltro fotografato da statistiche impietose. I dati sulla produzione industriale italiana descrivono una caduta costante da quasi due anni in pressoché tutti i settori produttivi e il progressivo impoverimento delle classi subalterne, oppresse da anni di deflazione salariale e di sgretolamento delle tutele e dei diritti acquisiti. 

Questa condizione generalizzata di impoverimento non ha ancora messo in moto, se non in casi eccezionali, cicli di lotte oggettivamente in grado di mettere in discussione il potere del padronato ed è quindi evidente il carattere anche preventivo dell’adozione di misure legali di criminalizzazione e repressione di (auspicabili) possibili resistenze sia in termini di conflittualità sociale, spontanea od organizzata, che di lotta di classe vera e propria.

Misure che oltretutto non colpiscono e sanano le condizioni ma criminalizzano coloro i quali invece vivono quelle stesse condizioni di povertà a e marginalità sociale.

E’ pertanto evidente che l’adozione di misure legali preventive e di criminalizzazione e sanzione di (auspicabili) possibili resistenze sia in termini di conflittualità sociale, spontanea od organizzata, che di lotta di classe, sia un obiettivo raggiunto per un governo che ha tutto da temere dal loro concretizzarsi.

Questo ci deve spingere ad una reazione e fare nostra la giusta consapevolezza che la tendenza globale alla guerra diffusa e all’economia di guerra, le misure da stato di polizia adottate, impongono un adeguamento delle prospettive di lotta per tutte e tutti noi. Tra queste vi è sicuramente la necessità del rilancio, della generalizzazione e della ricomposizione delle diverse lotte, passaggi necessari e ineludibili per la costruzione di un’opposizione di classe che le rafforzi e vi dia una prospettiva complessiva in senso anticapitalista. La scelta tra il governo della guerra, del profitto e la sua conseguente politica economica antiproletaria e un’alternativa di sistema che superi lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sulla donna e sulla natura è quindi oggi il terreno sul quale dobbiamo misurarci per la costruzione di una nuova società di liberi e di uguali.

PER UN OPPOSIZIONE DI CLASSE CHE GENERALIZZI E UNIFICHI IL CONFLITTO CONTRO IL GOVERNO MELONI SERVO DEI PADRONI E DEL CAPITALE INTERNAZIONALE!

Le compagne e i compagni del Csa Vittoria

info@csavittoria.org – csavittoria.org

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