Dopo la strage di Cutro ancora donne uomini e bambini affogati in mare, vicino alle coste greche, nel tentativo di raggiungere l'Europa. E il conto dei morti nel Mediterraneo sale si avvicinandosi ai 2000 da quanto è rintracciabile da dati ufficiali certamente sottostimati perché non viene calcolata la strage degli invisibili che su mezzi di fortuna (barchini e piccoli gommoni) provano invece, inabissandosi, ad attraversare il canale di Sicilia.
Ma i numeri sono freddi e non possono rappresentare la tragedia, il terrore provocato da un barcone carico all'inverosimile (750?) che si ribalta, l’onda fredda che entra e invade la stiva dove sono ammassate le donne e i bambini, riempendo le loro gole e i loro polmoni fino a soffocarli e trascinarli a fondo.
Perché non sono numeri ma stiamo parlando di esseri umani.
Donne, uomini e bambini in un viaggio della speranza, in cerca di una miglior vita lontano da guerre e fame.
E questo non è casuale e va detto con forza.
Queste morti sono figlie della strategia razzista e xenofoba della "difesa dei confini nazionali". "Italici" o greci non importa.
Il razzismo di stato dei padroni non è in grado di spiegare da solo le stragi e i flussi migratori non possono essere rinchiusi nell’ambito di un mero fenomeno sociale: tutto ciò rappresenta invece una contraddizione esplicita prodotta dal modo di produzione capitalistico che sfrutta fino alla devastazione la natura e gli esseri umani.
L'Europa "democratica”, infatti, filtra e uccide. I confini si aprono e chiudono non per esigenze umanitarie o solidarietà o per una sorta di compensazione umanistica delle devastazioni prodotte, ma per il numero di fortunati che vincono la lotteria del viaggio in mare con un biglietto che "finalmente" gli permetta di essere sfruttati come schiavi nell'opulente Europa con un lavoro sottopagato, precario e senza alcuna sicurezza del e nel posto lavoro.
Pronti, i sopravvissuti, ad essere sfruttati nei campi di Rosarno, o in tutta Italia, sotto il sole cocente estivo per la raccolta di pomodori (l'anno scorso si sono contate decine di morti per il troppo caldo), o essere sfruttati senza contratto nelle cooperative della logistica con orari e paghe assurde e ridicole fino a 12/14 ore di lavoro al giorno, o come "driver" in bicicletta per la nostra comodità, o nel terziario e nei servizi, "assunti" in nero per una miseria o nei mille altri rivoli del lavoro da schiavi che vuole calpestare la loro umanità.
E laddove lascino l'Italia, sono pronte banlieue e pestaggi e discriminazione a vario titolo nel mondo della civiltà.
Le centinaia di morti in Grecia sono una questione di classe.
Queste tragiche morti in mare, insieme a quelle registrate in inverno ai confini dell'est Europa al freddo e al gelo, sono morti "leggere" agli occhi di chi li ritiene merce fastidiosa (il "carico residuo" di Piantedosi) nonché responsabili della loro tragica sorte (se la sono cercata), con un colore della pelle che nega loro il naturale accesso ai diritti ma pronti ad essere spremuti a nome del profitto.
Sono invece morti tragiche e pesanti prodotte da decenni di politiche post-coloniali di impoverimento e di frammentazione etnica, di furto delle risorse, di scarico di rifiuti del primo mondo, di guerre per delega interimperialista e quant'altro di criminale hanno visto i loro territori distrutti e invivibili.
Sono coloro che, vittime dell'imperialismo nelle sue varie forme, fuggono in occidente sperando nelle libertà e nella dignità tanto decantata ma che si scontra con un fascismo, latente o manifesto, ideologicamente spinto dalla politica europea che paga i lager nei propri territori o nei territori di confini dentro o oltre le mura di cinta della fortezza europea, pronti a usare ogni sopruso e tortura.
E mentre si blatera di regolarizzazione di flussi, il governo Meloni nega i permessi umanitari, ostacola e deride le ONG che salvano concretamente vite, è sprezzante sul concetto di accoglienza e nel contempo aumentano esponenzialmente in tutta Europa gli episodi di razzismo e discriminazione ad ogni livello, in un contesto di degrado, povertà e "guerra tra poveri", caratteristica delle metropoli capitaliste, provocato dalla ghettizzazione classista che coinvolge indifferente tutti i migranti e gli indigeni.
Le morti di migranti sono sempre una questione di classe come anche le vite di coloro che riescono a superano i confini.
Perché usare e distinguere tra lavoratori è finalizzato all'uso e consumo del profitto per la classe al potere che vuole frammentare e depotenziare, dividendola, la classe sfruttata.
E non è un caso che decenni di uso ideologicamente razzista xenofobo e sostanzialmente fascista della propaganda contro i migranti, insieme all’odierna propaganda di guerra compiuta di fatto da tutte le forze politiche in campo istituzionale in ogni paese europeo, ha portato parallelamente all'abbattimento e all'erosione dei diritti tutti di coloro che subiscono lo sfruttamento: salario, contratti di lavoro, condizioni di lavoro, casa, sanità, scuola e ogni forma di salario indiretto. E al contempo in questi anni abbiamo visto ogni sorta di risorsa direzionata nel verso del profitto, sovraprofitto, speculazione e.… in ultimo la guerra imperialista che è macroscopicamente l'orizzonte globale in cui si colloca e agisce ogni contraddizione capitalista.
Ed è per questo che è fondamentale schierarsi, mobilitarsi e agire coerentemente contro la guerra imperialista e contro il razzismo di stato.
Perché, come per la guerra che nessuno vuole fermare, ora incomincerà il balletto ipocrita sulle responsabilità di queste morti in mare senza mettere in discussione le politiche globali sull'immigrazione che producono inevitabilmente queste stragi e, in sintesi, più aumenterà il riscaldamento globale e più dovremo assistere a flussi di milioni di esseri umani in fuga dalla loro terra a causa di alluvioni o inondazioni croniche (Bangladesh) o siccità o la definitiva desertificazione.
Occorre più che mai uscire dalla ghettizzazione della classe.
Occorre denunciare la deriva ideologica liberista e autoritaria corporativa e discriminatoria.
Occorre riaffermare la centralità del lavoro e della classe.
Per fermare le stragi in mare e sui posti di lavoro, per fermare la guerra, per una società di liberi e di uguali senza più classi ne sfruttamento.
Le compagne e i compagni del csa Vittoria
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