Milano 22 Febbraio Corteo NO stato di polizia NO ddl1660

Inviato da redazione il Mar, 18/02/2025 - 16:51
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SABATO 22 FEBBRAIO 2025

NO ALLO STATO DI POLIZIA - NO AL DECRETO LIBERTICIDA 1660

CORTEO con partenza ore 15.00 Piazza XXIV Maggio e termine in Piazzale Lodi.

Partecipiamo tutte e tutti allo SPEZZONE PALESTINESE organizzato dalle associazioni palestinesi, per la 72 esima iniziativa contro l’occupazione e il genocidio in Palestina!

 

Sabato 22 febbraio a Milano ci sarà quella che ci auguriamo essere una grande mobilitazione contro il DDL 1660 e complessivamente quel pacchetto di misure liberticide diretto prodotto dalle politiche securitarie del governo Meloni-Salvini-Tajani.

Crediamo che queste norme, con il pretesto di garantire maggior “sicurezza”, siano invece indirizzate ad annullare l'opposizione politica e in generale ogni forma di dissenso non genuflesso al potere e siano parte di un progetto più generale di trasformazione della società in senso autoritario. Siamo quindi convinti che per rigettare al mittente questa volontà repressiva sia necessaria la più ampia convergenza per permettere una larghissima partecipazione di massa.

Ciò ci è imposto dalla nuova fase in cui è entrata la crisi irreversibile del modello economico-sociale capitalistico. Una nuova fase caratterizzata dall’inasprimento e dall'accelerazione delle tendenze in sviluppo ormai da più di un decennio.

L’insediamento della nuova presidenza Trump sta modificando l’agone internazionale: il ricompattamento del capitalismo USA, necessario per la propria sopravvivenza economica in una fase di competizione per profitti e risorse strategiche, sta traducendosi in dazi indiscriminati e protezionismo che aggravano quella guerra politico-economica già lanciata all’epoca della presidenza Obama. Precedenti amministrazioni, in primis quella presieduta dal criminale Biden, hanno, ad esempio, sostenuto, armato e difeso in ogni istituzione internazionale la banda nazi-sionista di Netanyahu. Ma ora Trump sta, in sintesi, proponendo un'associazione a delinquere, una "joint venture colonialista" ad altri paesi medio orientali che si "prenda Gaza" deportando il popolo palestinese e la ricostruisca per il proprio profitto trasformandola in una nuova e ricca "Promenade des Anglais" in stile Costa Azzurra. Mentre le minacce di Trump rendono il cessate il fuoco sempre più precario, sono in corso colloqui con numerosi paesi del Maghreb, con fazioni indipendentiste della Somalia, medio orientali oltre che Albania e Indonesia, affinché si “prendano” la popolazione civile deportata da Gaza utilizzando le solite leve economiche e di riconoscimento politico. L'esercito dell'entità sionista Israele, che ora esulta per le dichiarazioni dell'alleato, sta già preparando un piano di "deportazione volontaria" identico a quello che ha costretto i nativi americani nelle famigerate riserve.

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Nel mentre l’entità sionista sta impunemente svolgendo la più grande operazione di pulizia etnica in Cisgiordania dalla "Guerra dei sei giorni" del 1967. Sono infatti almeno 30.000 i palestinesi costretti a fuggire, solo negli ultimi giorni, dalla distruzione delle loro case nel nord della Cisgiordania e questa operazione nazista è rivendicata dal ministro Smotrich del "Partito sionista religioso" con l'affermazione che Tulkarem, Jenin e altre cittadine palestinesi della Cisgiordania “Saranno anche trasformate in rovine inabitabili e i loro residenti saranno costretti a migrare e cercare una nuova vita in altri paesi”. E tutto questo è solo la concretizzazione dell'approvazione ufficiale nel 2024 della costruzione di 18.415 nuove abitazioni solo nella parte della Cisgiordania ancora definita "illegittimamente occupata" dai trattati internazionali. Siamo consapevoli che le istituzioni internazionali sono state dalla loro fondazione espressione dei rapporti di forza a livello globale e quindi oggettivamente strumenti in mano all'imperialismo USA per colpire i diversi avversari (garantendo l'impunità). Ma un genocidio non si può nascondere e, dopo le centinaia di risoluzioni dell’Onu contro gli insediamenti, per il diritto al ritorno (parziale) per i risarcimenti ecc., la Corte penale Internazionale ha "osato" incriminare per  "crimini contro l'umanità e crimini di guerra" i vertici del governo e dell'esercito d'occupazione nazi-sionista. Naturalmente, questa incriminazione non ha avuto alcuna ripercussione effettiva ma ha comunque rappresentato un segnale chiaro di attribuzione di colpevolezza all'entità sionista Israele. Tutto ciò è risultato inaccettabile per Trump che, appena arrivato al "comando", ha applicato sanzioni contro la stessa Corte e anche personalmente contro i suoi componenti.

A questo "ordine imperiale" si è immediatamente genuflesso il governo Meloni con le parole del servile ministro degli esteri Taiani che, dopo aver ripetuto per mesi "due popoli due stati", ha subito dichiarato che lo stato palestinese non si poteva riconoscere in quanto "lo stato palestinese non c'è", aggiungendo subito dopo che Israele avrebbe potuto percepire il riconoscimento come un'offesa.

Nel frattempo, Trump, tra le altre dichiarazioni, ha partorito una nuova "anschluss" (l'annessione nazista dell'Austria del 1938) del Canada, della Groenlandia e di Panama per gli interessi nazionali statunitensi.

Finanche la stessa Alleanza Atlantica è scossa dal prospettato disimpegno trumpiano tutto a favore degli stessi interessi bisogni statunitensi, nonché l’Unione Europea ancora incapace di una posizione comune e attraversata da spinte politiche centrifughe disgregatrici scatenate anche dalla fine del modello mercantilista orientato alle esportazioni della produzione continentale che aveva plasmato la divisione comunitaria del lavoro e le conseguenti catene del valore. Una possibile disgregazione dettata e aggravata anche dal disastro economico in cui versano le maggiori economie comunitarie. I dati sulla produzione industriale italiana ne tracciano impietosamente lo stato attuale (una caduta costante da quasi due anni in pressoché tutti i settori produttivi) e il progressivo impoverimento delle classi subalterne, oppresse da anni di deflazione salariale e di sgretolamento delle tutele e dei diritti acquisiti in anni di lotte, fotografano una situazione di sofferenza sociale altrettanto impietosa.

La ridefinizione dei ruoli egemonici globali, il cui primato è utile per rilanciare su nuove basi possibili cicli di accumulazione, dal lato dell’imperialismo USA trova piena condivisione e potenziamento anche ideologico e identitario da parte di una nuova oligarchia che, sebbene proiettata a livello globale, necessita comunque dei classici strumenti statali (moneta ed esercito) per sostenere il proprio slancio. E’ la plastica rappresentazione di come capitale nazionale e struttura burocratica statale siano un meccanismo che, nello sviluppo dei processi di accumulazione, si compensa e compenetra in un’unitarietà strategica e che oggi, in una rinnovata fase imperialistica stante lo sgretolamento della globalizzazione susseguente alla fine dell’Unione Sovietica Patto di Varsavia, è caratterizzata da finanziarizzazione, colonizzazione, centralizzazione monopolistica e tendenza alla guerra in tutte le possibili forme, anche armata su scala globale.

Peraltro, i segnali del precipitare verso quest’ultima opzione dello scontro inter-imperialista in atto sono sempre più marcati.

Tra questi il rafforzamento globale del complesso militare-industriale e l’accentramento autoritario del comando decisionale ideologico-politico rivestono un ruolo sicuramente predominante.

E ciò, sul fronte interno, si traduce, come anticipato, nel disciplinamento e nella reazione (e nella prevenzione) delle e alle possibili resistenze sia in termini di conflittualità sociale, spontanea od organizzata, che di lotta di classe. Per la trasformazione dello stato in senso autoritario, progetto direttamente conseguente alle attuali e prospettiche necessità delle borghesie nazionali, l’attuale esecutivo razzista, retrogrado e regressivo, rappresenta il garante perfetto della conformazione poliziesca dello stato e della irreggimentazione dei rapporti sociali. La tendenza alla guerra non può infatti che avere delle ricadute concrete sul fronte interno.

La repressione è una costante del dominio di classe, ma crediamo anche che il ddl 1660, con il suo incremento dei carichi repressivi, le zone rosse improntate ad una "profilazione razziale" dei soggetti da colpire, l'attacco al diritto di sciopero, vadano inseriti in un progetto più generale di svuotamento progressivo dall'interno della stessa "democrazia parlamentare" per trasformare il governo in un agente diretto di “comando” del potere economico capitalista. Il disegno di legge sulla “sicurezza” n. 1660, in fase di approvazione anche al Senato, prevede infatti l’innalzamento delle misure preventive/repressive a livelli inediti rappresentando un deciso inasprimento contro la possibilità di manifestare, di scioperare, di lottare e di manifestare un pensiero critico. Nessuna lotta e forma di protesta, anche di resistenza passiva, risultano escluse dal disegno di legge che certosinamente intende punire e prevenire qualsiasi manifestazione anche della propaganda e del dissenso. La proposta contenuta nel DDL è infatti quella di punire quello che viene definito il “terrorismo della parola” con una pena che va da due a sei anni “chiunque detenga, o faccia circolare, in forma sia scritta che orale, testi ritenuti capaci di sobillare il compimento di atti o resistenze che coinvolgano uffici, istituzioni, servizi pubblici o di pubblica necessità”. Il tutto basato sulla logica di prevenzione e del compimento di un potenziale “reato”. Questo disegno introduce poi nuove ipotesi di reati e nuove aggravanti di pena per colpire le manifestazioni contro le guerre e quelle contro la costruzione di nuovi insediamenti militari; i picchetti dei facchin* della logistica e di tutti quei settori nei quali si esprime la radicalità operaia; le proteste contro le cosiddette “grandi opere” e le infrastrutture ritenute “strategiche” (la Tav, il ponte sullo stretto, ecc.) e la crisi climatica nella quale siamo costretti a vivere e che condizionerà sempre più la vita umana e animale non umana; le diverse forme di lotta agite per aumentare la propria efficacia come i blocchi stradali e della circolazione ferroviaria; le occupazioni di case sfitte in città sempre più escludenti per gli strati proletari della popolazione ormai appannaggio degli immobiliaristi o del turismo e i picchetti di solidarietà che le supportano (a tutela esclusiva della proprietà privata). E contiene norme durissime contro qualsiasi forma di protesta e di resistenza, anche passiva, dei detenuti nelle carceri e nei CPR, perfino contro le proteste esterne di familiari e solidali a loro supporto. Viene poi garantita la totale impunità per le forze dell’ordine, le quali saranno ulteriormente tutelate e deresponsabilizzate nei casi sempre più frequenti di “abuso” e potranno portare armi anche fuori servizio: è così data formale legittimazione a una gestione assolutamente aggressiva e repressiva delle piazze e dell’ordine pubblico.

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La natura di puro disciplinamento e la sostanziale costruzione di uno stato di polizia è reso evidente anche dalla istituzione delle cosiddette “zone rosse” in diversi capoluoghi. In queste, le forze dell'ordine sono dotate di un inedito potere arbitrario: potranno infatti allontanare immediatamente coloro che si mostrano genericamente pericolosi e allo stesso tempo hanno determinati precedenti o segnalazioni di polizia. Quindi una misura discrezionale dall’impronta fortemente razzista e classista preordinata e orientata a colpire chi è già marginalizzato.

La tendenza globale alla guerra diffusa e all’economia di guerra, l’accelerazione della trasformazione dello stato in senso autoritario (e le conseguenti misure da stato di polizia) sono i processi cui dobbiamo contrapporci e che devono vederci protagonisti e attivi.

La giornata di sabato rappresenta una prima convergenza tra realtà politiche e forze sociali, tra sindacati conflittuali e associazioni di base che segnano il primo passaggio di quella che è un’assoluta necessità: la costruzione di un movimento di massa che diffonda una vasta mobilitazione di opposizione a questo irricevibile e inemendabile disegno di legge e alla deriva autoritaria sottesi a tutti i progetti di legge di questo governo.

Un movimento che rifiuti l’arruolamento cui ci vorrebbe costringere il contesto internazionale e il governo Meloni, che si faccia interprete e protagonista del rilancio e della generalizzazione del conflitto sociale e di classe e dei passaggi ineludibili che questo comporta. E quindi la ricomposizione delle diverse lotte che si sviluppano cui va data una prospettiva complessiva in senso anticapitalista.

La scelta e il terreno su cui dobbiamo misurarci è ancora una volta quella tra il governo della guerra, del profitto e della conseguente politica economica antiproletaria e un’alternativa di sistema che superi lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sulla donna e sulla natura. 

NO ALLO STATO DI POLIZIA! Contro il DDL 1660 e la creazione di ZONE ROSSE nelle nostre città!

PER IL DIRITTO ALL'ESISTENZA, ALLA RESISTENZA, AL RITORNO DEI PROFUGHI, ALL'AUTODETERMINAZIONE DEL POPOLO PALESTINESE!

 

Sabato 22 febbraio TUTTE E TUTTI IN PIAZZA!

Fermiamo l’imperialismo e il sionismo!

Combattiamo fascismo e razzismo!

Abbattiamo ogni discriminazione di genere e ogni forma di omofobia!

Difendiamo il pianeta dalla distruzione capitalista!

Una sola è la lotta PER UNA SOCIETA' DI LIBERI E DI UGUALI

SENZA GUERRE E SFRUTTAMENTO DI CLASSE.


 

Diffondi, partecipa, allarga la solidarietà! 

Con la Palestina nel cuore!

 

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