Genocidio o pulizia etnica? Un'altra Nakba?

Inviato da redazione il Gio, 26/10/2023 - 15:16
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Il testo di seguito lo abbiamo scritto come continuazione del precedente "l'ultimo giorno di occupazione sarà il primo giorno di pace"(https://www.csavittoria.org/it/internazionalismo/lultimo-giorno-doccupazione-sara-il-primo-giorno-di-paceche ne tratteggiava i presupposti dal punto di vista storico/politico. Siamo convinti che non possano bastare gli slogan che tutti noi gridiamo nei cortei, ma siano necessarie delle riflessioni che approfondiscano le motivazioni della nostra solidarietà al popolo Palestinese.

Se le condividerete Vi chiediamo la diffusione di questi nostri contributi.

 

Genocidio o pulizia etnica? Un'altra Nakba?

È questo il futuro che il governo sionista ha pianificato per il popolo palestinese!

È questa la domanda che tutti ci dovremmo fare di fronte, come siamo, al suprematismo sionista, al segregazionismo, alla volontà di rimozione storica ed eliminazione fisica del problema Palestinese.

Quante migliaia di corpi di donne, uomini, bambine, bambini dovranno essere schiacciati e profanati dalle bombe israeliane o assassinati con i pogrom dei coloni in Cisgiordania perché venga soddisfatto l’univoco "diritto alla difesa" del governo criminale israeliano?Quanto sangue dovrà essere versato per le strade della martoriata Gaza e della Cisgiordania occupata per placare la sete di vendetta del mostro sionista? Ma è solo criminale e inumana vendetta o è invece scientifica applicazione della strategia sionista del genocidio palestinese? Questa domanda è ancora una volta tragicamente retorica perché non stiamo assistendo ad alcun “diritto alla difesa”, peraltro univoco e mai riconosciuto alla Resistenza Palestinese, ma, crediamo evidente sotto gli occhi di tutte e tutti, siamo davanti ad una razionale e scientifica volontà di fare pulizia etnica in tutta la Palestina,

Le immagini che arrivano da Gaza, le fosse comuni, la mancanza di luce, cibo, acqua, la mancanza di assistenza ospedaliera nei pochi ospedali rimasti in piedi e la cruda oggettività sono un insulto ad ogni principio di umanità e sono numeri che urlano vendetta: stiamo parlando di una strage di massa di popolazione inerme con, ad oggi mercoledì 25 ottobre, più di 5900 civili assassinati a freddo dalle bombe israeliane tra i quali almeno 2400 bambini e sono stime per difetto vista l’impossibilità, per la mancanza di mezzi, di poter estrarre altri possibili centinaia corpi di donne, uomini anziani, bambine e bambini sepolti sotto le macerie.

gaza

È di ieri la notizia che l’Onu ha messo ai voti una mozione che avrebbe intimato a Israele di cessare il fuoco sulla popolazione civile per permettere una tregua di carattere umanitario, ma il governo imperialista usa si è avvalso del diritto di veto e quindi il valico di Rafah rimarrà chiuso e le centinaia di camion con acqua cibo, medicinali e il gasolio necessario per produrre l’elettricità per gli ospedali rimarranno a deperire sotto il sole.

L’arroganza e il senso di impunità del governo israeliano del criminale Netanyahu è tale persino da impedire anche ispezioni dell’ONU a Gaza e questa con il suo segnale inequivocabile di disprezzo per ogni diritto internazionale è solo un’altra goccia di benzina sul fuoco dell’odio instillato nel popolo palestinese, giorno per giorno, anno dopo anno, sotto il peso di un’occupazione militare.

sassi ai carroarmati

In continuità con il passato, l’evidente volontà israeliana, è quella di perseguire la “soluzione finale” in chiave sionista e cioè l’annientamento del popolo Palestinese. Con la vergogna del silenzio o con l’arroganza di una narrazione ribaltata, falsa e aberrante come presupposti ideologici a giustificazione della rimozione fisica definitiva del problema. Con il ridurre al silenzio o reprimere a prescindere e schiacciare nel sangue, in maniera stragista, ogni forma di ribellione con qualsiasi strumento sia stata attuata, dall’eroica intifada dei sassi dei ragazzi e dei bambini palestinesi quella armata delle diverse organizzazioni combattenti della resistenza laica, progressista o islamica.  Perché fosse chiaramente scritto con il sangue Palestinese che nessuno avrebbe mai preso in considerazione alcuna rivendicazione allo stesso diritto all’esistenza come popolo.

Ed è quindi caduta, una volta per tutte, la farsa del tanto sbandierato “diritto alla difesa” diventato esplicitamente e senza più mediazioni un annientamento di massa che si è manifestato non solo con la repressione militare ma anche, negli anni, con il ricatto economico alle esili e corrotte strutture dell’amministrazione palestinese, con il continuo espandersi di nuove colonie, la distruzione di case e l’espulsione di famiglie Palestinesi, a cui ora si sta aggiungendo, nell’incredibile silenzio internazionale, la deportazione in campi di detenzione delle migliaia di lavoratori Gazawi che dopo il 7 ottobre si trovavano in Cisgiordania a lavorare.

muro

Ma la distorsione della realtà, a partire da un presunto anno zero iniziato il 7 ottobre, è tale che a Israele è tutto concesso.

La spregevole tossicità di un racconto della realtà, fa diventare quasi una legge immutabile della natura, anzi divina, il dato che Israele abbia assunto in sè il potere di vita, e più spesso di morte, sul popolo palestinese.

Potremmo, banalizzando, persino arrivare ad una semplificazione sintetizzabile con una frase nata per i nativi americani: per il governo sionista l’unico palestinese buono è quello morto o quello che si è piegato.

Sono parole che estremizzano la situazione, o forse no, vedendo quello che accade, ma le utilizziamo con la consapevolezza che interpretano perfettamente la strategia sionista nella difesa estrema del sogno del fondamentalismo ebraico sionista di un “popolo eletto” (razza superiore?) che su “base religiosa” possa impossessarsi dell’intera Palestina o dell’intero medio-oriente.

Ma la storia non è così semplice anche se questa frase potrebbe purtroppo essere la didascalia che accompagna le foto della strage di Gaza.

Entrando con molto rispetto, e in punta di piedi, in un campo di sensibilità umane alimentato dal dolore prodotto dall’abisso delle coscienze rappresentato dall’immane tragedia storica dell’Olocausto, potremmo però dire, con una digressione storico/psicologica, che questo sia diventato, comprensibilmente alla luce dell’empatia umana che proviamo per le vittime della ferocia nazista, una componente stessa dell’identità ebraica con la distorsione che purtroppo questa comporta.

Il peso di questa immane tragedia storica ha prodotto un ovvio e naturale “mai più” che però è diventato giustificazione e garanzia di impunità per ogni strage o massacro ed è diventata una chiave interpretativa distorta della realtà con l’affermazione di una sovrapposizione/assimilazione tra il concetto di stato/popolo e quello della religione e da qui la strumentale trasformazione in “stato ebraico” del 2018 e non stato laico in cui possano convivere in maniera pacificamente egualitaria diverse religioni.

L’esaltazione della propria identità religiosa vista come elemento di discriminazione su base appunto religiosa. La religione trasformata in nazionalismo, ed è questo il fondamento del sionismo e del fondamentalismo ebraico. Con l’affermazione e la sovradeterminazione dell’ipotesi sionista che parla esplicitamente di una “grande Israele” che si appropri di ogni più piccola parte della Palestina e non solo.

Da qui viene generata e si persegue la violenza colonialista, il suprematismo ebraico, la negazione dell’esistenza stessa del popolo Palestinese.

L’antisionismo non è antisemitismo

Ed è questa la profonda differenza tra la legittima professione di fede ebraica con radici secolari, al di là delle altrettanto profonde nostre convinzioni sulla funzione classista di ogni religione, e la strategia politica della destra sionista che, nata alla fine del 1800, che purtroppo si è allargata a settori importanti del popolo israeliano.

Ma se questo è il presupposto della strategia ideologica sionista, risulta ovvio come, a questo processo politico/culturale indotto e tutto interno alla popolazione israeliana, serva strumentalmente una sempre maggiore radicalizzazione religiosa, propria e altrui, per combattere meglio il nemico, per un noi contro loro, anzi un tutti loro contro di noi, per esaltare il senso di accerchiamento e rafforzare la propria appartenenza identitaria.

Qualcosa di simile, con le debite proporzioni, possiamo d’altra parte trovare nella strategia comunicativa per la costruzione del consenso di massa del governo meloni che, per coprire le proprie politiche antipopolari, si proietta sempre a caccia di nuovi “nemici” che vogliono annullare una presunta e indefinibile identità italiana”. E le affinità politico/identitarie sono molte fino ad un pericoloso sovraesporsi del governo meloni che si candida, a livello internazionale, ad un ruolo primario di fedele e obbediente interlocutore/servitore dell’imperialismo usa, chiunque sia il suo presidente, e del terrorista Netanyahu che utilizza la sovrapposizione tra ebraismo e sionismo come “giustificazione storica” del genocidio del popolo Palestinese.

La sintesi è che non c’è e non ci dovrebbe essere nessun richiamo alla propria identità religiosa come strumento per la chiamata alle armi del proprio popolo per combattere con, maggiore determinazione contro il l’infedele di ogni lato della barricata.

Siamo invece davanti ad un’ingiustizia storica, ad un torto e ad una ragione, ad uno stato colonialista che occupa e opprime un popolo a cui non è mai stato riconosciuto il diritto ad una propria autodeterminazione.

Un popolo sul quale è stato soffiato il fuoco della radicalizzazione religiosa per meglio combatterlo e criminalizzarlo e a cui non viene mai riconosciuto il diritto a ribellarsi. Un popolo del cui diritto all’esistenza non si parlava più fino al 7 ottobre quando è partita l’iniziativa militare da Gaza resa possibile dalla convinzione del governo sionista di aver ormai sfiancato e costretto alla resa il popolo Palestinese e dall’interesse primario di Netanyahu e della strategia sionista di accaparrarsi nuove terre in Cisgiordania, distogliendo truppe da Gaza.

È una constatazione tragica ma oggettiva.

Ma la guerra ora si allarga e non accenna a diminuire d’intensità senza che alcun organismo sovrannazionale, così attento alle “infrazioni del diritto internazionale” dei governi non amici o servi dell’imperialismo usa, si possa imporre ad Israele un necessario cessate il fuoco: Israele deve poter finire il suo lavoro di sterminio. Una pulizia etnica che sarà ricordata come una nuova Nakba (la catastrofe del 1948) dal popolo palestinese. Migliaia e migliaia di morti assassinati dalle bombe o dalle armi israeliane che scavano un solco di odio sempre più profondo con le popolazioni arabe e musulmane vittime storicamente dell’imperialismo usa e occidentale, con coalizioni protagoniste direttamente di guerre sanguinose per “esportare la democrazia” in Iraq, Afghanistan, Siria, Libia, o indirettamente come in Yemen.

Gli usa minacciano e ammoniscono l’Iran, e non solo, di lasciare indisturbato Israele nel suo lavoro di sterminio; forniscono nuove armi e mezzi corazzati, schierano preventivamente sistemi di protezione missilistica e spostano portaerei di nuovissima generazione (la super portaerei Gerald Ford è il mezzo più potente della flotta U.S.A - spinta da 2 reattori nucleari - trasporta un equipaggio di 5000 militari e fino a 75 aerei - è costata quasi 13 miliardi di dollari) a protezione del governo terrorista amico a cui si consiglia però di non esagerare (!!!) da una parte mentre dall’altra si appende al bastone insanguinato la carota dei “2 popoli in 2 stati”. 

Per tornare alla pace. Nessuno però dice che la “pace” indicata sarebbe solo quella di tornare alla situazione esistente prima del 7 ottobre con l’aggravio della devastazione della guerra ed è una soluzione improponibile e indigeribile per il popolo Palestinese.

Ma una soluzione va trovata e ribadiamo quanto sia ipocrita, vergognoso e strumentale, nelle condizioni date, parlare di due popoli in 2 stati perché vorrebbe dire, come già scrivevamo, relegare i palestinesi in diversi micro bantustan (esattamente come in Sudafrica e Namibia con l’apartheid) o come nelle riserve indiane per i nativi americani e, se non fossero solo parole, vorrebbe dire incominciare a imporre a Israele di ritirarsi con i suoi 800.000 coloni ora “illegalmente” stanziati in Cisgiordania, cessare l’occupazione militare, permettere il ritorno dei profughi e in sostanza ridare diritti al popolo Palestinese.

Ma questo oggi viene definito antisemitismo!!!

La storia, ancora una volta, sta chiedendo al popolo Palestinese di avere il coraggio, e siamo certi che questo avverrà, di un’ulteriore incredibile e difficile sforzo di resistenza alla barbarie nel darsi l’obiettivo di lunga durata di un futuro di pace e coesistenza laica e democratica tra popoli e religioni in terra di Palestina una volta liberata dal cancro del sionismo e da ogni identitarismo religioso.

Un sogno di pace che è forza e aspirazione della resistenza di un popolo oppresso dal colonialismo e dalla dittatura militare. Questo sogno è anche il nostro ed è questo che ci spinge a solidarizzare senza alcuna incertezza con le classi povere in Palestina e in Cisgiordania.

Diamo la nostra convinta adesione e confermiamo la nostra partecipazione al corteo nazionale indetto dalle Comunità palestinesi d’Italia per sabato 28 ottobre a Roma rilanciandone le parole d’ordine riprese dall’appello nazionale:

 

PER LA LOTTA DI LIBERAZIONE ANTICOLONIALE PER SPEZZARE L’ASSEDIO A GAZA

PER FERMARE IL GENOCIDIO

La comunità internazionale e l’Italia, supportando Israele, non sono solo responsabili morali ma anche materiali dei crimini di guerra che il sionismo compie da 75 anni. Come palestinesi in Italia non avremo pace finché la Palestina sarà gravata dal giogo coloniale israeliano, finché continuerà il genocidio del popolo palestinese, finché non verranno istituiti corridoi umanitari per far entrare aiuti a Gaza, finché l’Italia sosterrà militarmente Israele.
Perciò esigiamo dal Governo italiano:

  • l’interruzione degli accordi militari con Israele l
  • la fine del genocidio a Gaza - Che si adoperi per lo smantellamento delle colonie, dell’occupazione, del regime di apartheid
  • Aiuti umanitari 
  • il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese
  • il rispetto del diritto internazionale in Palestina

Chiamiamo a raccolta tutti coloro che vogliono schierarsi al fianco della giustizia, per fermare il massacro, e per la liberazione:

                 Roma 28 ottobre h 15, corteo da Porta S. Paolo a P.zza S. Giovanni

                   SOSTEGNO AL POPOLO E ALLA RESISTENZA PALESTINESE!

                                              

 

Il primo giorno senza occupazione sarà il primo giorno di pace.

 

palestina libera