Mentre lo scontro tra il blocco imperialista occidentale e la Russia di Putin in atto in Ucraina non trova tregua e continua a lasciare aperta la possibilità di una sua espansione a livello mondiale, alimentata anche dall’esteso incremento delle spese militari, il governo Meloni è intervenuto nell’ultimo bimestre in materia economica indicando le linee guida per il futuro.
Questi interventi, comunque allineati ai dettami della borghesia nazionale e del capitale finanziario (senza dimenticare le squallide logiche di consenso a favore della propria base elettorale), non si discostano né segnano alcuna discontinuità con le politiche del precedente governo Draghi e con le stringenti prescrizioni comunitarie. Misure finalizzate a garantire le risorse e il sostegno politico per la definizione di un ruolo e di una collocazione attiva del nostro padronato in tale competizione interimperialistica (nel quale comunque rimane salda la collocazione atlantista del nostro paese), sempre più caratterizzata dall’incremento di attriti e aperti scontri politici, economici e militari, quali dirette conseguenze della crisi strutturale in cui da decenni versa il capitalismo.
E quindi con l’obiettivo del possibile rilancio di nuovi cicli di accumulazione, garantendo non solo ulteriori profitti ma anche la salvaguardia dei processi speculativi e degli extra profitti, nonché del recupero di liquidità a scapito del welfare e dei salari, prosegue e si inasprisce la lotta di classe portata dall'alto nei confronti del proletariato e del lavoro.
Un attacco reso ancora più drammatico dalla recrudescenza dell’inflazione (determinata da differenti cause: la speculazione, l’eccesso di domanda post-pandemia e le strozzature nelle catene di approvvigionamento, la guerra, l’incremento dei profitti, le politiche monetarie espansive) che si traduce in perdita secca del potere di acquisto soprattutto delle classi meno abbienti. A ciò, a livello mondiale, le differenti banche centrali hanno sostanzialmente scelto di rispondere con politiche di incremento dei tassi di interesse: in Europa assistiamo ormai da mesi a una politica di rialzo dei tassi orientata altresì ad evitare che l’impennata dei prezzi deprezzi il valore dell'euro. Tale scelta, come detto, ha delle ricadute immediate estremamente negative per i lavoratori e le lavoratrici, cui si dovranno aggiungere quelle causate dai nuovi debiti contratti dall’Italia in virtù del PNRR post-pandemico. La crisi energetica e produttiva in Europa oggi viene contrastata pressoché esclusivamente con il PNRR e incentivi di varia natura e con l'accettazione del debito da queste previste da parte degli stati membri dell’UE.
Il tutto a fronte però di un rientro del debito medesimo in tempi stretti (i prossimi 5 anni) e con modalità non negoziabili: in buona sostanza, la riproduzione delle politiche di austerity che dominano da anni l’economia europea e tanto care ai paesi un pò più forti in termini di produzione reale (Germania) ovvero speculativa (BE.NE.LUX.), ma miopi ove si osservi la mutata situazione internazionale (post pandemia da covid-19, la crisi del gas, la guerra in Ucraina). Misure quindi che anche ove assicurassero, dal punto di vista degli equilibri continentali, la tenuta del “sistema europa”, appaiono comunque deboli per un recupero nell'ambito produttivo reale che, anzi, nel medio termine rischia di incagliarsi nelle secche della stagnazione e comunque di non reggere la competizione internazionale in un nuovo ordine sempre più multipolare.
I paesi facenti parte del gruppo dei c.d. BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), cioè quasi la metà della popolazione mondiale e protagonisti di un terzo degli scambi commerciali globali, hanno ormai avviato il passaggio a operazioni di scambio con valute diverse dal dollaro, intraprendendo di fatto un deciso passo in tale direzione (multipolare).
La natura di conflitto intercapitalistico connotato dalla fase imperialistica è quindi evidente e le contraddizioni non potranno che acuirsi in un contesto, come detto, nel quale la tendenza alla guerra si inasprirà a nocumento delle condizioni di vita e di lavoro del proletariato a livello mondiale. Un contesto chiaro ed esplicito nella sua natura, ma dagli esiti imprevedibili.
La ricaduta di questi sconvolgimenti mondiali si ha ovviamente anche in Italia. A questa situazione la risposta del governo Meloni è di classe e si basa su presupposti noti ma accelerandone e accentuandone gli aspetti più liberisti (quasi in stile thatcheriano): la pervicace distruzione del poco salario indiretto residuo, riducendo la spesa corrente nella parte di welfare e sanità, compensando con palliativi che non coprono il bisogno di servizi (pubblici) dettati dalle necessità sociali reali. Sicché all’attacco al salario diretto e al mancato adeguamento di questo ai reali costi della vita, si accompagna l’ulteriore stretta sul salario indiretto aggravato altresì dal taglio al cuneo fiscale che, come è noto avvantaggia maggiormente il lato datoriale e che scambia qualche decina di euro in più al mese in busta paga con l’accesso sempre più difficile ai servizi diventati costosi e privatizzati.
Ritornando alla politica economica governativa fortemente classista, è evidente come anche dal punto di vista della capacità di intervento reali, siamo di fronte al solito vuoto dettato come detto non solo dalle dinamiche internazionali, ma dal ruolo scelto dal governo Meloni di esecutori degli ordini padronali: i padroni chiedono e il governo obbedisce. Interventi strutturali di fatto non ci sono. Il PNRR è utile pressoché esclusivamente a recuperare il gap perso durante la pandemia (o poco più) e, in ogni caso, i progetti sono spesso in ambito edilizio, motore certo di moltiplicatori di keynesiana memoria, ma che lasciano intatta la produzione reale. Non sta sicuramente a noi anticapitalisti insistere sul tema, ma è evidente che una strategia politica di recupero industriale, in atto da un decennio in altri paesi, sia inesistente in Italia.
Ciò che ci interessa sottolineare è la questione di classe delle politiche in atto: e quindi la distruzione sociale e ambientale incorporata nel capitalismo, il percorso di intensificazione delle contraddizioni immanenti al sistema medesimo e, in ultimo, la tendenza alla crisi e alla guerra.
Sostanzialmente possono individuarsi tre direttrici di questo governo in materia economica fondate, come detto, sulla riduzione del ruolo pubblico nel governo dell’economia, su tagli alla spesa sociale e sugli investimenti. Un’impostazione che non potrà che inasprirsi a stretto giro allorché cesserà la sospensione del patto di stabilità decisa a suo tempo dalla UE per tentare di arginare gli effetti negativi della pandemia e, quindi, il ritorno delle politiche di austerità.
In prima battuta, la riforma fiscale con la predisposizione di misure a tutto vantaggio del padronato (anche quando specula!) e della base sociale dell’attuale governo: e quindi viene estesa la platea che potrà usufruire della tassazione "piatta" (flat tax), sgretolando ulteriormente il principio di progressività che è fondamentale per il mantenimento di un compromesso sociale.
A ciò si aggiunge il concordato preventivo: sulla base di una logica di non punibilità viene condonato l’evasore a fronte di un intervento di reintegro del non versato anche parziale e senza quasi interessi. In pratica si liberalizza l’evasione e l’elusione dal pagamento delle tasse. Già questi interventi impongono un ragionamento di chiara matrice liberista e di classe: è anche la Corte dei Conti a denunciare che si tratta infatti di un primo passo per la riduzione delle entrate fiscali e, quindi, a cascata, della riduzione dell'intervento statale in ambito sociale.
In continuità con tale impostazione classista e con le misure finanziarie dei precedenti esecutivi si pone il DEF che prevede, in forma marcata, il taglio della spesa corrente nella parte relativa a welfare e sanità. Tagli che pagheranno le classi subalterne e che segnano un ulteriore deciso passa verso la privatizzazione dei servizi e la fine di misure di sostegno al reddito. Tagli che non verranno compensati dalla prevista riduzione (una tantum) del cuneo fiscale ma che, al contrario, ne costituiscono l’ossatura e il finanziamento. Infatti tale misura, con le quali si tenta di blandire il lavoro, verrà finanziata sia dalla cancellazione del reddito di cittadinanza sia dalle tasse versate dagli stessi lavoratori e lavoratrici: i contributi non versati da questi, infatti, non potranno che comportare un aumento secco della base imponibile per il calcolo dell’IRPEF. A ciò si aggiunge, come dichiarato dallo stesso Giorgetti, la finalità politica di allentare la pressione delle rivendicazioni dei lavoratori sulle trattative relative ai CCNL ferme a prima dello scoppio della pandemia ovvero su aumenti salariali (il salario minimo non è invece preso in alcuna considerazione).
Ma la politica di attacco al salario indiretto trova applicazione anche in un provvedimento governativo dello scorso mese nel quale è stato previsto il taglio di finanziamenti ed elargizioni di vario tipo ai comuni e agli enti locali. Da ciò uno dei motivi delle contraddizioni di metropoli quali Milano: i conti non tornano per far fronte alla struttura dei servizi, dell'intervento sociale e del mantenimento di infrastrutture (soprattutto scolastiche) ormai fatiscenti. A ciò consegue l’abbandono, seguita poi dall’abdicazione e dalla delega al privato in forme più o meno intense. Il tutto a favore della speculazione finanziaria e di Confindustria.
Infine la demagogia della riunione di governo il primo maggio e del provvedimento che, al netto dei proclami propagandistici di Meloni&co., cela l'ennesima riduzione della pressione fiscale e contributiva per il padronato, nonché una stretta sulle blande tutele contrattuali residue. Significativo è il primo punto del provvedimento governativo: l’eliminazione del reddito di cittadinanza anche sulla scorta di un giudizio moralistico su chi debba essere meritevole di un sostegno al reddito. E’ evidente che il reddito di cittadinanza non fosse uno strumento ben studiato, ma sbatteva in faccia al padronato che sotto una soglia di sfruttamento non si poteva andare. Invece con l'introduzione dell'assegno di inclusione, studiato soprattutto per una platea di inabili a vario titolo al lavoro, si restaura la piena e indiscriminata libertà contrattuale datoriale nonché il ricatto che pende sul lavoratore costretto ad accettare qualsivoglia occupazione anche non dignitosa, sfrutta, iperprecarizzata e lontana dalla propria residenza (80km). Una vera e propria “guerra ai poveri” che il Governo sta conducendo senza scrupoli aggredendo ogni forma di sostegno al reddito: tra questi il “Fondo nazionale per il contributo affitto e morosità incolpevole”, un contributo istituito nel 2016 che negli anni è servito ad arginare gli sfratti e che è stato cancellato.
L’ideologico sostegno di classe al padronato è infine confermato dal ritorno alla piena liberalizzazione dei contratti a termine e dall’estensione del possibile utilizzo dei voucher che, nei settori a più alto tasso di sfruttamento (tra gli altri, il turismo e la ristorazione), comporteranno ancor più precarietà e povertà salariale.
La spirale regressiva per tutele e salari, tratto comune delle politiche dei passati governi, trova quindi nuova linfa e sembra ormai inarrestabile, mentre i venti di guerra che continuano a soffiare a livello planetario uniti alla ridefinizione degli equilibri di potenza mondiali in senso multipolare ci avvertono della possibile immane tragedia che il capitalismo potrebbe scegliere per uscire dalle secche di una crisi sistemica senza fine.
La situazione precipita, le realtà e i soggetti coerentemente anticapitalisti devono con urgenza porsi la questione del reagire e del che fare, contribuendo alla costruzione di un ampio fronte comune per una chiara e forte alternativa di classe e di sistema. Un fronte di classe che si attrezzi per intercettare, organizzare e dare risposte, sia alla precarizzazione dei lavoratori delle fabbriche “tradizionali” e i poli logistici in sviluppo, che ai protagonisti delle nuove forme di sfruttamento parcellizzato che caratterizzano il volto delle nuove metropoli capitaliste. Questo deve essere obiettivo di tutte e tutti contro il nemico di classe e il suo governo sempre più caratterizzato a destra dal punto di vista ideologico-culturale. Un governo esecutore diretto degli interessi del padronato che si sta attrezzando per una gestione sempre più autoritaria e repressiva di ogni contraddizione sociale.
I compagni e le compagne del C.S.A. Vittoria