UNIRE E GENERALIZZARE LE LOTTE! CONTRO LA REPRESSIONE NON SI TACE!

Inviato da redazione il Mer, 27/11/2019 - 13:12
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manifestazione milano 30 novembre

Spunti di riflessione sui decreti sicurezza in vista del corteo di sabato 30 novembre a Milano

 

La repressione è una costante del sistema capitalistico. Sono decenni infatti che è in atto una serrata e capillare “caccia alle streghe”, se non una più feroce “guerra a bassa intensità”, contro ogni forma di opposizione praticata contro il progresso/regresso del modus vitae capitalistico.

I piani e i terreni su cui viene spiegata e messa in essere sono molteplici e comunque sempre tesi a colpire lavoratori, lavoratrici e, nel complesso, le classi subordinate, che vengono ancor più criminalizzati ogni qual volta esprimano una qualche forma di reazione o di resistenza.

Lungi dal voler colpire il mondo imprenditoriale/padronale, le speculazioni finanziarie e bancarie e il sottobosco politico/affaristico/burocratico che ben si muove nelle trame del potere capitalistico, negli anni sono stati invece emessi atti legislativi a protezione degli interessi e dei profitti della borghesia nazionale che hanno colpito pesantemente i diritti dei lavoratori  (dal jobs act allo svuotamento dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, dalla compressione dei salari a controlli di sorveglianza sempre più pervasivi e capillari, all’intensificazione dei ritmi di lavoro, …), il diritto di sciopero e hanno criminalizzato, in termini complessivi, il lavoro e le avanguardie di lotta nelle fabbriche e nei magazzini.

Il tutto accompagnato da una assillante campagna propagandistica, non solo dei media mainstream, tesa a creare un clima di generale consenso rappresentando gli scioperi e i diritti acquisiti come anacronismi superflui, freni alla competizione e alla produttività o contrari ai generali interessi del “sistema Italia”. E con la complicità di fatto della triplice sindacale Cgil-Cisl-Uil sempre più subordinata, dopo il salto effettuato alla fine degli anni settanta con le politiche di concertazione, al mantenimento della “pace sociale” se non alla mera sopravvivenza quali organizzazioni.

Ma, nel corso dell’ultimo decennio, vi sono stati dei chiari segnali che hanno espresso ed esprimono la reale e concreta possibilità di invertire nettamente questa tendenza.

Alcune categorie di lavoratori hanno dato battaglia con esiti estremamente positivi. Lo hanno fatto riprendendo in mano gli elementi fondamentali della lotta di classe: sciopero, dignità, unità e solidarietà tra gli sfruttati. Davanti ai cancelli della logistica, all’interno dei magazzini di cui è disseminato il territorio soprattutto del Nord Italia, lavoratori e lavoratrici in prevalenza immigrati hanno superato la paura e il ricatto quotidiano ottenendo diritti, tutele, salari e aggredendo il comando diretto di caporali, capetti e vertici aziendali. E conseguentemente i profitti delle grandi multinazionali dei trasporti, della logistica e del fitto sottobosco fatto di cooperative più o meno spurie, più o meno mafiose.

Il terreno espugnato dal lavoro, in un settore sempre più strategico del capitale italiano nella divisione internazionale in particolare europea, è stato così obiettivo immediato di un virulento attacco padronale e legislativo teso a riconquistare quanto sottratto loro. E, approfittando anche di un clima sociale e politico sempre più reazionario e xenofobo, sono stati emanati in stretta sequenza i cosiddetti decreti sicurezza, caldamente voluti dalla Lega allora al governo con Salvini quale ministero dell’Interno.

Le misure di attacco frontale ai diritti di immigrati e opposizione sociale sono noti. La matrice razzista e propagandistica altrettanto. E, come era ampiamente prevedibile stante l’origine politica di queste misure figlie degli accordi dell’allora ministro dell’interno PD Minniti con la Libia, anche l’attuale maggioranza giallo-”rossa” non pare intenzionata alla loro abrogazione. 

Una sostanziale soluzione di continuità è infatti rinvenibile tra gli esecutivi che si sono succeduti: la subordinazione agli interessi del capitale e la loro conservazione, non sono in alcun modo in discussione a prescindere dal “colore” politico di chi governa. E l’impianto di queste norme, tese all’inasprimento delle pene nei confronti di chi lotta e all’affinamento della riduzione del proletariato immigrato a esercito di riserva o a mera manodopera da sfruttare, sono utili per tali fini.

Ciò fa quindi trapelare il reale obiettivo: i lavoratori migranti e i settori di proletariato che lottano sui terreni, in particolare, del diritto alla casa (già attaccato dal decreto Lupi emanato dal governo Renzi a tutela della proprietà e contro le occupazioni per necessità), della difesa dei territori dalla speculazione e dalla devastazione ambientale e nei luoghi di lavoro oggetto continuo di tagli in nome del profitto e “dell’Europa”. Così un presidio ai cancelli di un magazzino durante uno sciopero si traduce in anni di carcere e cospicui risarcimenti per i padroni, al pari di un corteo per bloccare un’opera inutile (ma utile al profitto) o di un picchetto antisfratto.

Denunciamo inoltre un nuovo significativo salto “qualitativo” delle misure repressive con un ampio utilizzo di “fogli di via” utilizzati a piene mani per provare ad indebolire la resistenza operaia o, in ultimo, il “divieto di dimora” che, saltando il dibattimento processuale è messa in essere in base all’arbitrio dei difensori in divisa degli interessi di classe.

Deve essere quindi intrapresa una lotta politica diretta e serrata contro i decreti sicurezza quali espressione determinante della repressione e della costruzione del consenso, utili alla costruzione di un nuovo autoritarismo, accompagnato da discriminazioni e azzeramento dei diritti. 

Per fronteggiare questi attacchi è necessario dare vita e mettere in relazione una resistenza diffusa incentrata su un processo di sviluppo di coscienza di classe nelle lotte sociali, superando la specificità e il particolare delle singole vertenze sociali, per costruire un movimento più complessivamente politico e ricompositivo da un punto di vista di classe.

I compagni e le compagne del C.S.A. Vittoria