No al terrorismo U.S.A.! No alla guerra imperialista!
Crediamo sia oggettivamente impossibile riuscire a prevedere i futuri sviluppi della situazione di crisi mediorientale dopo l’attacco terroristico che ha portato all’assassinio del generale iraniano Soleimani. Queste stesse riflessioni al momento della loro pubblicazione potrebbero già essere state superate da evoluzioni oggi solo ipotizzabili.
Per non ripetere banalità o rincorrere la ridda di voci di "analisti internazionali" e di “esperti dell’area mediorientale" che stanno intasando i media ufficiali, incominciamo a sviluppare questo breve ragionamento dicendo che il punto fermo di contesto da cui partire è che, una volta ridimensionato dalla crisi il peso dell’egemonia politica ed economica mondiale statunitense, ci troviamo davanti a un modificato quadro complessivo di formazione di blocchi locali e internazionali che si compongono e si scompongono in una geometria variabile in relazione alla comunanza e alla tattica coincidenza di interessi appunto locali, tattici, di sopravvivenza, di desistenza e di difesa da un comune nemico. Un esempio per tutti: il sultano terrorista Erdogan che corre in difesa del governo "legittimo" di Sarraj contro l’avanzata del generale Haftar (vicino ai “fratelli musulmani” egiziani) sostenuto invece da Putin, che si accordano per chiedere una tregua mentre presenziano all'inaugurazione del nuovo gasdotto “Turkstream” che collega Russia e Turchia bypassando l'Ucraina per rifornire il mercato europeo. Ciò anche in un contesto di spartizione degli enormi giacimenti di gas e petrolio, per i quali la “concorrenza” tra i blocchi e singoli potentati locali e internazionali è spietata, di cui l’intera aerea mediorientale dimostra essere disseminata (solo negli ultimi anni sono stati scoperti nuovi giacimenti di fronte alla costa di Gaza, in Egitto, in Iran).
Questi processi di aggregazione si pongono sempre nella direzione della difesa di una supremazia nazionalistica (p.e. Turchia, Iran, Israele) tranne il tratto, il respiro veramente imperialistico strategico ben definito soprattutto della Cina, unica vera superpotenza economica ormai affermata che non gioca di rimessa o per coprire proprie debolezze interne, ma che ha tracciato una proiezione e sta perseguendo una strategia precisa di allargamento della propria influenza e di accaparramento di risorse e mercati dall’Africa al Medioriente al Sud-America.
A partire da questo presupposto, che certamente non sminuisce l’aggressività delle forze locali in campo o dell’alter ego occidentale, il dato inoppugnabile che emerge è che, al di là della propaganda imperialista e del supporto e della complicità soggettiva o oggettiva delle "grandi democrazie" europee, l’assassinio terroristico mirato di un altissimo rappresentante politico/militare dello stato iraniano, e la stessa particolare eclatante mediaticità e spettacolarità della sua esecuzione, rappresentano un violento strappo dei fragili equilibri e un salto di qualità dell'intervento USA nell'area mediorientale. Ancor più per il ruolo assunto nel tempo da Soleimani non solo di direzione militare ma di interlocutore di peso e mediatore tra le potenze presenti nell’area.
Un salto di qualità che rappresenta un passo in avanti nella strategia di aggressione all’Iran già ben delineata durante la campagna elettorale per le presidenziali USA dal terrorista megalomane Trump, passato dalla pretestuosa negazione dall’accordo sul nucleare prima, all'imposizione di arbitrarie sanzioni poi, per arrivare ai numerosi bombardamenti sulle postazioni iraniane schierate contro l'ISIS e le bande di ispirazione qaidista. Attacchi anch’essi mirati e compiuti stracciando la tanto decantata e agitata strumentalmente "legalità internazionale".
Un pesante e multiforme segnale coerente con questa strategia, probabilmente accelerata dall’imprevedibile incapacità e dalla personalità del presidente USA, allo stesso tempo diretto alla ricerca di riverberi positivi sulla politica interna dopo la grave richiesta di impeachement, e di deterrenza e riposizionamento nell’area mediorientale nei confronti delle potenze Russia e Cina che si stanno spartendo il controllo diretto o indiretto della medesima area.
Dopo una campagna elettorale fortemente caratterizzata dalle promesse di disimpegno dai fronti di guerra per dedicarsi a perseguire il corto respiro del sovranismo xenofobo e razzista e del protezionismo economico, Trump tenta di riprendersi un ruolo internazionale riassunto dallo slogan "America First". Un criminale atto terroristico mirato dunque anche al consenso elettorale per l’avvicinarsi delle elezioni, per assecondare l'industria delle armi e il partner sionista continuamente impegnato in azioni contro le truppe iraniane dislocate in Siria. Peraltro, Israele potrebbe essere, in questa fase, il soggetto/oggetto discriminante e di rottura della stabilizzazione cercata da Russia, Cina e Iran proprio per evitare che si saldino i reciproci interessi e rappresentare l’elemento di provocazione scatenante.
Un attentato terroristico che quindi può rappresentare la miccia per un escalation di atti di guerra fino alla deflagrazione di un confronto militare diretto, ad ora, non concretamente voluto dagli attori in campo come possiamo ben desumere dalla risposta iraniana con il lancio missilistico su postazioni militari statunitensi in Iraq, altrettanto mediatico e spettacolare, ma volutamente innocuo e dimostrativo.
Se invece Usa, Arabia Saudita e Israele da una parte, Iran, Russia e Cina (in una posizione più defilata) dall'altra fermeranno l’escalation di ritorsioni come parrebbe in questo momento, il risultato di questo allarme rosso rinforzerebbe comunque Trump che vuole imporre sanzioni sempre più pesanti all’Iran e rappresenterebbe il tentativo di riportare, con arroganza e spregiudicatezza, l'imperialismo americano al ruolo guida delle potenze capitalistiche occidentali, ma avrebbe anche l'effetto di compattare la controparte irachena e soprattutto iraniana nel tentativo di estendere la propria area di influenza e controllo di risorse esportando la propria "rivoluzione reazionaria" e oscurantista. In questo contesto, da par suo, cerca di inserirsi, rilanciando un proprio ruolo sul campo, il blocco imperialista europeo in eterna formazione tra le spinte centrifughe e le contraddizioni dettate dagli interessi dei singoli stati presenti, l’attenzione al “padrino” statunitense ancora presente in forza in territorio europeo, soprattutto italiano, con basi, armi (anche nucleari) e divisioni militari.
Ma i giochi di guerra imperialistici da entrambe le parti stanno avvenendo mentre tutta l'area è attraversata da una crisi economica che ha fatto emergere un altro soggetto: il proletariato arabo in lotta dal Libano, all'Iraq, all'Iran che si è preso con forza la ribalta pagando in questo lo scotto di centinaia di morti e di incarcerati.
Senza approfondire in queste riflessioni la volontà genocida del dittatore Erdogan nei confronti dell’eroico popolo curdo e il tentativo di annientare il loro processo di autodeterminazione e la speranza di trasformazione sociale, va ricordato che, anche in questo caso, l’elemento analitico pregresso è che la causa fondante dell’impoverimento complessivo di quest'intera area geografico-politica è stato determinato dalle diverse guerre imperialiste di rapina che si sono succedute.
Dalla Libia, oggi luogo di scontro e di contrapposizione e di riassetto per il possesso dell'area (petrolio e situazione disumana dei migranti da utilizzare come leva di ricatto), allo Yemen dove si ripropone la guerra settaria sunniti-sciiti per coprire (guerra per procura) evidenti interessi di controllo geopolitico, all'Iraq, ricordando a chi non ha memoria che le bombe USA hanno fatto collare l'economia irachena in una situazione pre-industriale, seguita dalla guerra che ha devastato la Siria voluta, sostenuta e fomentata dalle potenze capitalistiche anche europee per abbattere Assad scoprendo poi che stavano invece finanziando il nascente stato islamico e le sue bande di assassini.
La crisi del modo di produzione ha accentuato questo processo di impoverimento generale portando a una divaricazione violenta sempre più evidente tra i bisogni di sopravvivenza e l'aspirazione a una qualità migliore della vita e i diversi governi/regimi fortemente caratterizzati da un'impostazione autoritaria/militare se non teologica fondamentalista.
La nostra massima solidarietà va alle masse e ai proletari che stanno insorgendo in tutta la fascia mediorientale e a tutti coloro che con la lotta stanno imponendo ai loro governi/regimi una possibile trasformazione sociale.
Questi uomini, donne, ragazze e ragazzi proletari e proletarie che sfidano con coraggio truppe in armi, incarcerazioni, torture e assassinii sono la speranza che in Medioriente si possano mettere in moto dei processi di trasformazione della società in senso anticapitalista mettendo al bando sfruttamento di classe, povertà, discriminazione sessuale, fame e guerra, abbattendo padroni di ogni genere laici o religiosi che siano, potenze imperialiste di ogni provenienza.
PER UNA SOCIETA’ SENZA CLASSI! CONTRO LE GUERRE IMPERIALISTE!
C.S.A. Vittoria
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