L'ULTIMO GIORNO D'OCCUPAZIONE SARA' IL PRIMO GIORNO DI PACE

Inviato da redazione il Gio, 12/10/2023 - 14:42
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“L'ULTIMO GIORNO D'OCCUPAZIONE SARA' IL PRIMO GIORNO DI PACE"

 

SABATO 14 ottobre ore 15,30 tutt@ in Piazza Duca d’Aosta

per il diritto all'esistenza, alla resistenza e all'autodeterminazione del popolo palestinese.

PALESTINA LIBERA - BASTA OCCUPAZIONE MILITARE SIONISTA



Quello che segue non è un semplice volantino e anzi abbiamo lavorato a queste riflessioni con il presupposto di evitare slogan o semplificazioni.

Abbiamo messo da parte la rabbia che proviamo per utilizzare invece un linguaggio e ragionamenti il più possibile comprensibili. La spinta maggiore, infatti, proprio in questo momento così difficile dal punto di vista della criminalizzazione del popolo Palestinese, è stata quella di motivare il più possibile la nostra solidarietà e sostenere la nostra decisa scelta di campo. Non ci vogliamo girare intorno e vogliamo dire chiaramente che la guerra è tragicamente sempre un fatto orribile con un carico di disumanità insopportabile.  Siamo, da sabato scorso, subissati e intossicati, per 24 ore al giorno dalle foto di cadaveri israeliani, immagini di naturale disperazione e accorate interviste intrise di paura e dolore per le perdite subite. Noi lo comprendiamo e ne siamo umanamente colpiti ma proviamo anche un moto di rabbia nel vedere santificato un ufficiale israeliano che si lamenta di morti civili e, nello stesso momento, ci chiediamo come mai nessuno di questi media si ponga una domanda sul perché di tutto questo.

Un doveroso e razionale interrogarsi sulle cause strutturali di questo conflitto uscendo dalla ipocrita e strumentale reazione di chi fa finta di cadere dalle nuvole come se tutto questo, questa guerra, fosse iniziata sabato 7 ottobre e se fossimo all' "anno zero" e che ancora tutto ciò fosse inspiegabile se non con aggettivi che disumanizzano il "nemico". 

Esorcizzare la verità serve ad indirizzare il consenso. Niente di nuovo purtroppo.

Falsità e bugie finalizzate a supportare la narrazione sionista israeliana di un criminale come Netanyahu allo sbando che vorrebbe ripulirsi un'immagine ormai deteriorata sulla pelle e sul sangue del popolo palestinese. 

Ma l'anno zero esiste ed è il 1948. 

L'anno della NAKBA, del massacro della catastrofe per il popolo Palestinese

madre palestina

 

L'anno in cui vennero definitivamente espropriate le terre di Palestina, con stragi indicibili dell'esercito israeliano di una popolazione inerme e le prime espressioni di terrorismo sionista, per essere consegnate agli ebrei in fuga dallo sterminio nazista dalle potenze imperialiste vincenti come riparazione dall'olocausto. Tolte le terre con la forza ed annullato, con un colpo di spugna, il diritto ad esistere come popolo sulla propria terra a cui rimane solo un futuro da profughi (i dati ufficiali parlano di più di 5 milioni).  

Una terra sulla quale i palestinesi di ogni religione, musulmani, ebrei, cristiani, avevano vissuto insieme nel rispetto dell'identità altrui.

E la Nakba, questa tragica data, è ben stampata nelle menti e nei cuori di ogni palestinese anche se viene strumentalmente rimosso dal racconto della realtà. Perché a Israele si permette tutto, ed è tutto giustificato in base ad un presunto e univoco..."diritto a difendersi".

Per chi ancora crede nel principio di "legalità internazionale" abbiamo cercato e riportiamo in allegatole risoluzioni dell'ONU mai rispettate o messe in atto, che condannano formalmente Israele senza però alcun risultato. E anche oggi l'Onu "intima fermamente" a Israele di non procedere ad un assedio che lasci milioni di palestinesi senza acqua luce e cibo e che questo si configurerebbe come "crimine contro l'umanità". Ma ormai è quasi tragicamente ridicolo sentire queste affermazioni perché Israele, come gli USA, hanno sempre utilizzato la cosiddetta "legalità internazionale" solo come arma per colpire i propri nemici.

Crediamo ormai evidente come, sulla base di formulazioni simili, il cosiddetto "occidente democratico" abbia voluto "esportare la democrazia" in Afghanistan, in Somalia, in Iraq, in Siria, in Libia per citare solo gli ultimi, scatenando guerre di sterminio contro quelli che l'occidente stesso definiva strumentalmente di volta in volta "stati canaglia". 

Ma il popolo Palestinese si ribella a questa ingiustizia storica.

I palestinesi e le palestinesi che oggi si ribellano, sono figli e figlie di quella Nakba, della nascita e dell'imposizione violenta dello stato Israele in terra di Palestina, su terra e acqua e case delle quali ancor oggi i palestinesi mostrano le chiavi come segno della loro volontà di un ritorno. 

I palestinesi di oggi, quelli di Gaza come quelli in ogni più piccolo lembo di terra palestinese martoriato dall'occupazione militare sionista, sono figli e figlie, madri e padri delle migliaia di morti il cui numero si avvicina tragicamente a 3500, famigliari di quei corpi mutilati e devastati nella strage di Sabra e Chatila del 1982. Sono figli e figlie, sorelle e fratelli delle migliaia di morti, vittime civili delle bombe israeliane dell’operazione "Piombo Fuso" tra il 2008 e il 2009. 21 giorni durante i quali il governo israeliano ha scatenato un feroce e indiscriminato bombardamento sull’intera Gaza che, oltre che seppellire migliaia di morti sotto le macerie, ha distrutto strategicamente ospedali, scuole, e ogni struttura di ricovero o assistenza per la popolazione civile. E anche questo crimine è stato "naturalmente" definito "diritto a difendersi di Israele".  E nessuno quella volta ha fatto vedere le centinaia di bambini palestinesi spaccati a pezzi dalle bombe sioniste. Sono gli stessi Palestinesi che sono chiusi dietro un muro di separazione etnica, simbolo dell’apartheid, che devono superare ogni giorno per chiedere ai soldati dei check point il permesso per poter andare a lavorare e far sopravvivere la propria famiglia. Riusciamo ad immedesimarci? Giorno dopo giorno, un'intera sopravvivenza umiliata dal dipendere dall'umore di un militare se poter andare a lavorare, se sopravvivere in un'autoambulanza se si è malati o si sta per partorire con urgenza. Come la vita stessa dei 2,2 milioni di Palestinesi circa che vivono a Gaza dipende da quanto Israele voglia stringere il cappio come l'assedio e il buio assoluto di queste notti dimostra

E questa non è retorica ma la quotidianità della vita dei Palestinesi di Gaza e dei territori occupati. E Gaza, proprio secondo gli standard di vita europei come può essere definito se non una prigione, un lager a cielo aperto?

muro aprtheid

Un muro dell'apartheid che divide famiglie, che separa e distrugge vite.

I Palestinesi di oggi sono ancora figlie e figli, mogli e mariti, dei 5300 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane, dei 1260 in celle miserabili arrestati senza processo con "detenzione amministrativa".

Sono gli stessi palestinesi che, solo un caso tra i moltissimi, sentono della morte in carcere di un loro fratello dopo 87 giorni di sciopero della fame contro la detenzione amministrativa, possibile nella "democratica Israele". Khader era arrestato nel febbraio 2023 e accusato di “incitamento alla violenza” per aver visitato le famiglie dei prigionieri palestinesi e aver preso parte ai funerali dei palestinesi uccisi dalle forze israeliane; la stessa Amnesty International ha dichiarato che la " morte in carcere di Khader Adnan” è un richiamo del prezzo mortale che i palestinesi pagano quando sfidano il sistema israeliano di apartheid e un sistema di giustizia militare che agisce contro di loro. Aveva già precedentemente trascorso sei anni in carcere in detenzione amministrativa senza accusa né processo.

La rabbia dei Palestinesi di oggi è la rabbia delle madri e dei padri del 79 % dei bambini di Gaza (dati di Save the Children) che soffrono di enuresi notturna per la paura e lo sgomento di vedere l'umiliazione, la violenza subita dai loro famigliari, o di quei bambini trattati brutalmente se non scientemente assassinati dall'esercito occupante in maniera preventiva come ben documentato e denunciato da numerose associazioni umanitarie.

idf assasini

A questo proposito invitiamo caldamente a leggere al link in fondo al testo, un importante articolo dello storico israeliano Ilan Pappè.

E questo accade quando si ritengono "gli altri" razza inferiore.

Sono gli stessi Palestinesi ridotti alla fame nei territori occupati per la mancanza di stipendi e cure perché privati del diritto alla vita a causa dell’esproprio dei dazi doganali palestinesi, per decine di milioni dollari, che Israele applica senza giustificazione giuridica, e quando li restituisce preleva la cifra che il governo palestinese destina alle famiglie dei prigionieri politici.

Interpellanza alla corte di giustizia dell’Aja?  Israele può tutto grazie al grande fratello usa. Niente di nuovo.

Sono i Palestinesi che hanno assistito all'assassinio a freddo della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh a Jenin perché testimone diretta dello scempio di ogni diritto e dell’aggressione dell'esercito israeliano nei confronti di chi si opponeva all'esproprio di un intero quartiere per consegnarlo a nuove famiglie israeliane. Sono i famigliari dei 220 palestinesi assassinati in quest'ultimo anno, come riportano i dati ufficiali, da esercito o coloni che bruciano uliveti e attaccano case palestinesi per indurli a fuggire ed impadronirsi della terra in base ad un "diritto naturale" teorizzato dal sionismo.

E in questi giorni le squadracce di coloni armati sono accompagnate dall'esercito nelle incursioni in Cisgiordania.

E questa realtà cosa è se non colonizzazione, suprematismo, razzismo, violenza o pulizia etnica...ma a Israele è permesso tutto.

Ma dal 2018 si è andati persino oltre quando il parlamento israeliano ha varato una legge che trasforma lo stato d’Israele in "stato ebraico" definendo per legge un presupposto per la discriminazione su base religiosa con il portato di dichiarare Gerusalemme capitale dello stato ebraico. 

Peccato che la bellissima Gerusalemme sia universalmente riconosciuta come elemento fondante delle 3 religioni monoteiste Cristiana, Musulmana, Ebraica e che a Gerusalemme si trovino la Basilica del santo Sepolcro e la Moschea di Al Aqsa punti di riferimento per le fedi cristiana e musulmana.

La conseguenza di questa decisione è stata quella di minare la convivenza tra le tre religioni e portare il disprezzo sionista e l'umiliazione sfrontatamente sulla spianata delle Moschee con la provocatoria passeggiata del ministro Ben Gvir del gennaio di quest'anno autorizzata da Netanyahu. La portata di questa provocazione è chiarissima e ha naturalmente causato scontri sulla spianata sacra per la fede musulmana portando le armi sioniste fin dentro la moschea per percuotere i fedeli. 

Domandiamoci ora chi vuole la guerra e come sia innegabile ed anzi esplicita la volontà di provocare una radicalizzazione dello scontro su base etnica e religiosa. 

Soffiare sulla radicalizzazione religiosa per fare assurgere lo scontro militare tra occupante e occupato a scontro tra civiltà è certamente un obiettivo del sionismo che sta dando i suoi frutti dal punto di vista del compattamento ideologico nei paesi servi, come l’Italia, dell'imperialismo usa. 

Anche in questo caso non c'è nulla di nuovo perché la radicalizzazione religiosa è sempre stata una strategia sionista per combattere e sostituire la forte identità laica e progressista palestinese con il vecchio O.L.P. (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), con una crescente identità musulmana come oggettivo e comprensibile elemento unificante della popolazione schiacciata dall'occupazione militare e senza alternative e speranze per il proprio futuro. Con il risultato che ora, come ormai già da molto tempo, l’ A.N.P. (autorità nazionale palestinese) sia sempre più interessata alla gestione clientelare del potere e ai finanziamenti usa e israeliani in funzione di controllo repressivo del proprio popolo invece che garantirne la protezione e indicare una strada per liberarsi dall'oppressione sionista. 

Ma i palestinesi che oggi si ribellano, sono parte di un popolo che quotidianamente viene trattato o si sente definire "esseri inferiori" dal governo israeliano, un governo che teorizza il suprematismo ebraico sulle altre popolazioni, oppure vede negata la sua stessa esistenza e identità come popolo, come afferma Il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich della destra religiosa: "i palestinesi non esistono", sono "un'invenzione di meno di 100 anni fa". "Non esistono i palestinesi perché non esiste un popolo palestinese".

Non riusciremmo mai e sarebbe impossibile sintetizzare in poche pagine la sofferenza, l'umiliazione, la tortura per un popolo di 75 anni di occupazione militare sionista. 

Un sionismo che aspira ad una "grande Israele" che scacci ogni popolazione diversa da tutta l'area per impadronirsi di acqua e terra. 

Ed è per questo che ci domandiamo e domandiamo, ed è una domanda esplicitamente retorica, perché i palestinesi provochino una reazione di commozione e solidarietà solo quando sono cadaveri e vite spezzate dall'odio sionista.   

Come è possibile non solidarizzare anche quando invece si ribellano? 

Come si fa a non comprendere e anzi affermare con decisione che l'iniziativa militare partita da Gaza è una guerra disperata ma di liberazione e che, per le coscienze perbeniste, senza il martirio quotidiano del popolo palestinese nessun media si ricorderebbe dei crimini che è costretto a subire.

Dall'oggi possiamo trarre solo una lezione: a 75 anni dalla Nakba, con la prima ondata di violenza terroristica sionista, base e fondamenta dell'attuale Israele, va denunciato che la strategia politica sionista di aggressione e di occupazione territoriale, è fondata sulla teoria razzista del "suprematismo sionista" che genera discriminazione e l'annientamento e il genocidio del popolo palestinese. E quella odierna è solo una risposta a questa occupazione militare. Tragica ma oggettiva perché si fonda su un’ingiustizia che dura da 75 anni ed è una questione che rimane irrisolta: il diritto all'esistenza del popolo palestinese che nessuno riconosce contro l’occupazione militare sionista.

E noi abbiamo scelto da che parte stare.

Ma proprio perché stiamo dalla parte di un popolo che vuole rompere le catene dell'occupazione giudichiamo risibile, se non insultante, l’equiparazione tra antisemitismo e antisionismo, oggi di moda per chi denuncia i crimini d’Israele. Accuse appunto risibili e ingiuriose perché l'antirazzismo e l’antifascismo sono nel codice genetico di ogni antimperialista. Come anche ci sentiamo ideologicamente lontani anni luce da ogni fondamentalismo e da chi fa apologia della propria religione come fatto politico, ebraismo politico o islam politico che sia.
Tutti vorremmo la pace ma non può essere la pax israeliana che vuol solo dire il ritorno ad una situazione di occupazione definita come ineluttabile e immodificabile in cui la vittima deve solo interpretare il suo ruolo perché se si ribella diventa terrorista. 

Non vogliamo contrapporre dolore a dolore. 

Vogliamo solo dire con forza, rompendo il muro di ingiustizia nella comunicazione politica e mediatica, che esiste una ragione e che esiste un torto. 

E la ragione sta dalla parte di chi si è visto rapinare della propria terra, della propria acqua e del proprio diritto all'esistenza dal piano strategico di genocidio sionista.

I Palestinesi vogliono e lottano per la PACE dando anche la vita per essa. Ma pace, per il popolo Palestinese, vuol dire PACE VERA, riconoscimento di diritti, diritto al ritorno dei profughi, cessazione dell'occupazione militare ma invece, dopo tante parole, promesse e "accordi di pace” la mappa che segue mostra crudamente l'evoluzione dell'espansionismo sionista dal 1946 in poi.

 mappa occupazione

E questa sarebbe pace? Non è giusto e naturale per il popolo palestinese ribellarsi?

E gli usa, nel frattempo, portano le loro portaerei davanti alle coste per proteggere il loro alleato sionista in funzione anti-iraniana trascinando il popolo palestinese e riducendolo, come sempre, ad un ruolo di pedina sacrificabile in uno scacchiere di guerra tra i diversi blocchi per il dominio geopolitico nell'area medio-orientale.

Ora da più parti, per sbloccare la situazione ed evitare il massacro con caratteristiche di genocidio a Gaza ma nel contempo normalizzare la rabbia palestinese si fa ipocritamente accenno alla soluzione di 2 popoli in 2 stati.

Bisognerebbe però avere il coraggio di spiegare quello che la cartina mostra e cioè che un ipotetico stato palestinese sarebbe composto solo dalla striscia di Gaza e quello che rimarrà dalla continua rapina colonialista dei sionisti di sempre nuovi territori in Cisgiordania.

E potrebbe essere questa una proposta accettabile dal popolo Palestinese? 

E allora se si volesse veramente la pace bisognerebbe avere il coraggio ed essere in grado di avere un sogno, un punto di arrivo. Se si volesse veramente la pace l'unica possibile soluzione sarebbe quella di darsi un difficilissimo obiettivo di lunghissima durata da perseguire con voglia di giustizia perché senza questa non ci potrà essere pace, e cioè rimuovere definitivamente le cause del conflitto eliminando l'occupazione militare sionista, facendo tornare i profughi e lavorando un passo dopo l'altro per un unico stato laico in terra di Palestina dove si ritorni ad una convivenza tra tutti i popoli con le loro diverse fedi religiose.

Senza questo sogno di giustizia e pace non si potrà raggiungere una pace vera a meno di non procedere ad un genocidio del popolo palestinese che si rifiuterà di soccombere all'occupazione sionista e si opporrà a questa con ogni mezzo necessario.

Ma il concetto legittimo di autodeterminazione e di legittima difesa vale, evidentemente, solo per gli amici dell’imperialismo usa.

Ed è per questo che siamo dalla parte del popolo palestinese e della sua lotta di liberazione, per il diritto all'esistenza, alla resistenza, alla propria autodeterminazione.

Con la Palestina che resiste! Con il popolo Gazawi che resiste!

 

“L'ULTIMO GIORNO DELL'OCCUPAZIONE

SARA' IL PRIMO GIORNO DI PACE!”

cit. di Marwan Barghouti prigioniero politico palestinese

 

 

Articolo di Ilan Pappè:  https://www.csavittoria.org/it/node/739