Sul fronte interno guerra al lavoro e ai diritti e democrazia autoritaria sono il volto attuale dell'imperialismo
Il terrorismo islamista è il prodotto collaterale delle guerre imperialiste e neocoloniali.
Dopo un ciclo di guerre dove l'imperialismo Usa insieme agli altri predoni imperialisti europei delle "grandi democrazie occidentali" (Gran Bretagna del "pentito" labour di Blair in testa) hanno bombardato, devastato, distrutto e fatto implodere Stati come la Yugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia e ora la Siria, armando una fazione contro l'altra, uno stato contro l'altro, perchè la crisi mondiale accentua la loro concorrenza nella corsa a difendere i propri interessi, l'esclusivo profitto del proprio capitale nazionale per il controllo geostrategico delle risorse ivi presenti (su tutte gas, petrolio e il passagio dei gasdotti russi da est a ovest), ora emerge, in forma di aggressiva identità statuale e di islamismo fondamentalista, una forza che vuole costituirsi in un'area che va oltre i confini stabiliti dalle potenze imperialiste nella fase storica precedente e che sono oggi messi in discussione.
Si rivede, in poche parole, quel boomerang politico e militare già visto per Al Qaeda, armata contro i sovietici in Afghanistan e che poi si è rivoltata contro gli Stati Uniti che lo avevano sostenuto finanziariamente e militarmente fino ad arrivare all'attacco alle Torri Gemelle del 2001.
La crisi e le contraddizioni emerse hanno fatto affiorare movimenti sociali che hanno cercato di mettere in discussione i regimi e i governi dei paesi dominati e/o controllati dai paesi imperialisti.
L'instabilità sociale e politica che si è determinata non ha prodotto un cambiamento sostanziale in una direzione rivoluzionaria. In questa situazione di instabilità dell'intera regione medio-orientale si sono sviluppate pulsioni politiche-militari dei vari paesi imperialisti in competizione tra di loro per espandere o mantenere la loro presenza nell'area. In questa situazione di continua guerra (che ha causato miseria, morte, la distruzione del territorio urbano e l'espulsione da esso di milioni di abitanti) ha attecchito il fondamentalismo dell'autoproclamato Stato islamico della Siria e dell'Iraq, ha avuto spazio e sinteticamente ragione e possibilità di esistere in funzione anti-Assad, anti-sciita.
In questa situazione, dove il proletariato e le masse povere (che si erano messe in movimento nella primavera araba) sono state stritolate (anche per l'assenza di un fronte di lotta proletario contro le borghesie nelle metropoli dei paesi imperialisti), Al Qaeda e l'Isis hanno avuto buon gioco nel rappresentare le istanze degli oppressi, conquistare città in aree sempre piu estese tendendo a rompere strutturalmente i confini delineati precedentemente dai paesi imperialisti. Contesto in cui partecipa attivamente e ha un ruolo fondamentale (anche in virtù dell'appartenenza all'Alleanza Atlantica) il sultano Erdogan, dal principio sostenitore e diretto finanziatore (anche per il tramite dell'acquisto del petrolio ricavato dai pozzi sottratti e conquistati in Iraq e Siria da Daesh) dello I.S. per tentare l'affondo decisivo alla resistenza popolare curda. Turchia che ora riesce anche a speculare biecamente sulla masse di civili che fuggono dalle bombe grazie alle offerte economiche dell'Unione Europea per fermarle prima che attraversino i confini comunitari.
Alle bombe occidentali e al conseguente continuo massacro di civili, l'autoproclamato Stato Islamico risponde con un terrorismo indifferenziato che ora è arrivato dentro i confini dell'Europa con l'attentato a Parigi del 13 novembre. Attacco eseguito materialmente da proletari di seconda o terza generazione delle banlieues francesi e belghe che al razzismo e alla marginalizzazione sociale, rese sempre più gravi e ineluttabili dalla crisi, rispondono con rabbia e odio (non più raccolti dalle organizzazioni di classe) accecati dal manicheismo religioso che offre risposte semplificate e un nemico immediatamente evidente da colpire anche nei simboli dell'esclusione stessa.
Ci chiedono ora di essere uniti, di difendere "la civiltà europea", di sostenere le politiche imperialiste e terroristiche e nuove aggressioni militari contro un altro tipo di terrorismo figlio delle guerre (uno scenario dove diversi interessi si scontrano sulla pelle di migliaia di proletari e masse povere e a essi è offerta la sola alternativa di morire sgozzati per mano del fondamentalismo islamista o sotto le bombe del "civile occidente").
Le borghesie nazionali ci chiedono di schierarci, di legarci le mani e tacere, mentre già preparano ulteriori misure che limiteranno i nostri diritti politici e sindacali in uno stato d'eccezione ormai permanente (il divieto di sciopero nel periodo del giubileo, come già era stato per Expo, è solo un esempio).
Ma la nostra scelta non può che essere un'altra: non ci schieriamo né a favore delle criminali guerre imperialiste né tantomeno a quello del fronte integralista dell'Isis, di Al Qaeda o altri che speculano sull'identità religiosa per fare scempio dei proprio nemici anche interni al mondo islamico.
Noi siamo contro la barbarie di queste diverse, ma in qualche maniera simili, espressioni del modo di produzione capitalistico.
Il nostro è un netto e deciso rifiuto di classe, perchè il proletariato internazionale e le masse povere non hanno nulla di guadagnare né dalle "democratiche" bombe occidentali né dai macellai fondamentalisti, al contrario, devono prendere coscienza che solo come classe autonoma possono trovare la forza di organizzarsi sul piano politico e combattere il sistema di dominio borghese, per una nuova società dove ogni forma di barbarie si estingua.
Le stesse bombe di stato del 1969, messe dai fascisti in combutta con settori dei servizi segreti in Italia, sono emblematiche di quale può essere la risposta padronale all'avanzamento delle lotte operaie allorchè sfociano nello scontro con il padronato e il governo, evidenziando così gli interessi inconciliabili con un modo di produzione che si nutre pervicacemente dello sfruttamento quotidiano di milioni di uomini e donne nell'intero pianeta.
Per questo abbiamo deciso di discutere di quanto sta accadendo in un momento di confronto e di presa di coscienza collettiva soprattutto con i lavoratori immigrati della logistica in lotta, che rappresentano la punta avanzata di uno scontro frontale contro gli interessi del capitale. Cercando anche di gettare le basi per una risposta decisa agli ulteriori attacchi che il proletariato si troverà ad affrontare in questo clima di guerra perpetua alle proprie complessive condizioni.
Per far piazza pulita di ogni ipocrisia od obbligata scelta di campo.
Per ribadire il nostro deciso rifiuto alle guerre imperialiste, il nostro rifiuto dell'egemonismo culturale del cosidetto califfato, insieme al rifiuto della xenofobia e del razzismo di una destra che specula sulle paure e sull'insicurezza economica e sociale creata dalla crisi per suscitare divisione tra i lavoratori.
Contro le bombe fasciste e padronali di ieri (ricordiamo la manifestazione del 12 dicembre a Milano) e contro l'imperialismo e la barbarie del califfato figlio di queste stesse guerre.
Per non creare incomprensibili contrapposizioni alla manifestazione del 12 dicembre, l'assemblea con i lavoratori della logistica, aperta a ogni contributo, si terrà domenica 13 dicembre alle ore 11.00 al C.S.A. Vittoria di Milano.
Csa Vittoria
SI Cobas