Viviamo in un momento di grave e strutturale crisi di un modo di produzione che non riesce a soddisfare i bisogni di milioni di proletari in tutto il mondo.
Uno stato di perenne crisi, con momenti di parziale e aleatoria ripresa alternata a stagnazione profonda se non direttamente a fasi di recessione, è diventata ormai una “normalità” da cui il modo di produzione capitalistico prova a uscire ristrutturando l’organizzazione del lavoro attaccando i diritti e rendendo sempre più precaria e flessibile la vita di milioni di lavoratori e lavoratrici.
In Italia il Jobs Act del governo Renzi-Poletti non è solo l'ultima riforma in ordine di tempo che rende esplicito questo attacco alle classi subordinate, ma ne rappresenta la forma più compiuta che contribuirà a rendere più individualizzato un contesto sociale già frammentato e diviso dalla paura e dall’impotenza, affossando ulteriormente un ceto medio già fortemente proletarizzato e incrementando precarietà e disoccupazione. E che, nonostante l'ottimismo profuso anche dalla stampa di regime, come dimostrano i dati diffusi in questi mesi, non ha fermato la disoccupazione, soprattutto giovanile, né l'incremento del numero degli inattivi.
Finita infatti l'elargizione di miliardi di soldi pubblici, attraverso la decontribuzione prevista dalla passata Legge di Stabilità, il padronato ha bloccato le assunzioni scaricando quindi nuovamente sul lavoro la propria incapacità di uscire dalla crisi di sovrapproduzione e sovraccumalazione in cui è impantanato.
La crisi non è infatti contingente ma strutturale e non sono sufficienti misure tampone. Se non per permettere al padronato stesso di ottenere l'ennesimo strumento di flessibilità che, sebbene non contribuisca in alcun modo a rilanciarne la competitività, ne ha accresciuto i profitti.
La paura e l’impotenza davanti a fenomeni causati da scelte fatte dai poteri forti dell’economia capitalista, stanno creando terreno facile per il diffondersi di ignobili politiche razziste e xenofobe che speculano sulle paure recondite dello stesso ceto medio e del proletariato speculando sull’insicurezza causata dalle peggiorate condizioni di vita e di lavoro.
Ma all’interno del sistema economico capitalista non sono possibili definitive soluzioni a questa crisi, né con ipocrite politiche falsamente redistributive, né con un improduttivo (fascista e nazionalista) arroccarsi sull’impossibile difesa dei presunti interessi nazionali creando oggettivamente le condizioni per un nuovo conflitto mondiale già ferocemente in corso per ora nelle borse delle più importanti capitali europee come sul terreno delle sporche guerre per l’accaparramento di risorse energetiche.
Non esiste un capitalismo buono e produttivo da salvare emendandolo dalla speculazione della finanziarizzazione selvaggia.
Il capitalismo e il suo modo di produzione sono per loro stessa natura speculazione e ricerca del massimo profitto sulle spalle delle classi subordinate e infatti nei momenti di crisi, come tutti ben sappiamo, la forbice tra i più ricchi e i più poveri si divarica sempre di più.
La strada che vogliamo percorrere e che indichiamo è quella della rigida difesa sul terreno dei diritti, come la lotta dei facchini della logistica sta dimostrando, e più in generale lo sviluppo di un'opposizione reale agli interessi del capitale mettendo al centro gli interessi della classe lavoratrice per un cambio radicale dell'attuale modo di produzione.
La stessa strada che in Francia stanno imboccando i lavoratori e gli studenti che in questi giorni si stanno strenuamente opponendo a una riforma del lavoro simile al Jobs Act voluta dal governo Hollande. Una riforma che comporterà aumento dei licenziamenti, della precarietà e della diseguaglianza sociale per tentare di salvare, al di là delle Alpi, un sistema politico e sociale profondamente in crisi. Il terreno di scontro è infatti comune senza distinzioni di confine all'interno dell'Europa: anche in Germania dove il sistema dei mini-jobs è alla base dell’aumento dei lavoratori poveri e delle disuguaglianze sociali.
Dobbiamo ricominciare a saper contare sulle proprie forze senza più alcuna delega ma organizzandoci per difendere i nostri interessi e ricominciare a pensare ad una società diversa e opposta all’attuale senza più classi e sfruttamento.
PER L’UNITA’ DEI LAVORATORI !
PER UNA RISPOSTA DI CLASSE ALLA CRISI
Centro Sociale Vittoria