Fermiamo il nuovo modello di organizzazione del lavoro. Basta precarietà – Basta omicidi sul lavoro. Non siamo carne da macello per il profitto capitalista!

Inviato da redazione il Dom, 23/01/2022 - 11:19
Categoria
boicotta amzon, combatti il capitalismo

Fermiamo il nuovo modello di organizzazione del lavoro

       Basta precarietà – Basta omicidi sul lavoro

Non siamo carne da macello per il profitto capitalista!

 

Basta un pizzico di lucidità se non di dialettica per farci comprendere, rifiutare e combattere, quanto stia pesando sull’agenda politica quotidiana l’invasività e l’univocità mediatica del macigno Covid, con il contraltare delle posizioni reazionarie no vax.

Provando a uscire da queste pur spesse e persistenti nebbie, crediamo che in un contesto generale di gravissima sindemia mondiale siamo stati costretti ad affrontare la criminale gestione capitalistica di queste crisi che ha dettato le priorità (produzione e profitto a scapito della salute e della vita) e modificato le condizioni esistenziali di milioni di proletari e proletarie.

Per non ripeterci, non intendiamo ora ancora ribadire le responsabilità del modo di produzione capitalistico sul sorgere di questa, come di quelle passate e purtroppo anche future pandemie.

Siamo però convinti che la concatenazione di tutti i deficit sistemici e le contraddizioni economiche, sociali e sanitarie, emerse in maniera tragicamente deflagrante durante la crisi, sia stata utilizzata e diretta per la loro salvifica soluzione, per una “chiamata alle armi”, alla “responsabilità sociale” e alla riproposizione di un’unità nazionale traducibile, nei fatti, in nuova forma supina di “pace sociale”.

Una sospensione del conflitto giudicato inopportuno e un’acquiescenza, se non direttamente la richiesta di un sostegno ideologico, necessarie a una trasformazione dell’organizzazione capitalistica del lavoro finalizzata alla propria sopravvivenza alla crisi strutturale, ben evidente e pre-esistente alla crisi pandemica, con l’utilizzo del PNRR come uno degli strumenti prioritari.

 

Apriamo ora una brevissima parentesi sulle conseguenziali e organiche trasformazioni del sistema di governo, sottolineando come i processi economici hanno sempre determinato, e anche oggi determinano, anche e necessariamente un’evoluzione delle sovrastrutture politiche: questo processo di trasformazione dell’organizzazione capitalistica del lavoro sta producendo un’accelerazione nella trasformazione di una democrazia parlamentare in crisi in una forma di democrazia autoritaria come strumento più agile e immediato di comando per la classe al potere. Una forma di governo borghese ritenuta ormai obsoleta, in quanto paludosa e non all’altezza dell’esigenza di decisioni immediate e (guarda caso) just in time per un esecutivo più forte e decisionista.

Una forma di govermo, in sintesi, ormai scollegata dalla tendenza della nuova forma di organizzazione capitalistica del lavoro, quale variante dominante (il paragone tra capitalismo è virus ci sembra molto calzante), nella quale l’estensione esponenziale delle differenti forme di precarietà e flessibilità, già endemica, sta assumendo nuova vitalità.

 

ED E’ PER COMBATTERE QUESTO CHE SOLLECITIAMO UNA CONVERGENZA POLITICA LA PIU’ LARGA POSSIBILE

 

I dati periodici degli istituti di rilevamento statistico ci restituiscono un quadro nazionale nel quale il lavoro interinale sta avendo un’esplosione in tutti i settori produttivi ed economici. Un dato osservabile anche nella logistica e nei trasporti ove un sistema consolidato ha permesso margini pressoché unici per il padronato di categoria: ciò grazie all’elevata intensità delle forme di sfruttamento (bassi salari, ritmi e orari elevati, subordinazione al dispotismo di caporali e capetti) della forza lavoro impiegata nella catena degli appalti a consorzi e cooperative, anche a fronte di investimenti irrisori in tecnologie e automazione.

 

Un contesto che sembrava statico, ma che è stato scosso negli ultimi 15 anni da variabili impreviste per il padronato di categoria: la stessa forza lavoro in prevalenza immigrata, condizionata dal ricatto del permesso di soggiorno e soggiogata a norme discriminatorie e intimamente razziste, è stata capace di invertire una tendenza e rapporti di forza che la volevano supina e docile.

Sono stati infatti i lavoratori e le lavoratrici a scardinare quei paradigmi diventando protagonisti di un ciclo di lotte che ha investito i magazzini e gli hub disseminati lungo le direttrici nazionali e internazionali delle catene di distribuzione.

Un ciclo di lotte che ha ridimensionato il dispotico e arrogante comando padronale e strappato incrementi salariali e normativi, anche a dispetto della scontata ma robusta repressione poliziesca e giudiziaria affiancata ai licenziamenti politici, alle diverse forme di discriminazione degli iscritti e dei delegati del SI Cobas e, in generale, di chi si è posto sul piano del conflitto. Scioperi e blocchi del flusso e della circolazione delle merci che, quali materiali palestre di coscienza di classe e unità operaia, hanno costretto il padronato alla sottoscrizione di accordi che hanno migliorato le condizioni materiali non solo dei protagonisti e delle protagoniste delle stesse lotte, erodendo il consenso del sindacalismo confederale e complice.

 

Alla riduzione dei margini di profitto e alle conquiste operaie, il padronato ha risposto sia innalzando il livello repressivo (basti pensare all’utilizzo di milizie private stile Pinkerton alla Zampieri di S.Giuliano Milanese, oppure alle aggressioni mafiose nel distretto del tessile di Prato, ecc.) sia operando ristrutturazioni su più livelli, con l’unico denominatore di recuperare quanto sottratto negli anni dalla lotta di classe e di costringere all’angolo i lavoratori e le loro organizzazioni sindacali conflittuali.

 

E in tale scenario si colloca il complesso riassetto che sta riguardando tanto l’implementazione dell’innovazione tecnologica e l’introduzione di automazione per rendere più efficiente il processo produttivo, quanto l’internalizzazione della forza lavoro escludendo, nella catena degli appalti, consorzi e cooperative non più funzionali alla compressione salariale e normativa, ovvero sostituendo e/o affiancando queste ultime con il ricorso alle agenzie interinali di somministrazione (Adecco, Gi Group e Ranstad su tutte).

Ovvero, ancora, con l’introduzione nei propri centri logistici di modelli organizzativi che tendano a quello tipico di Amazon che racchiude in sé una -forte automazione e standardizzazione delle operazioni gestite da algoritmi che ne dettano i ritmi e i tempi, - il rispetto formale delle norme del contratto collettivo di categoria accompagnata dal forte contrasto alla sindacalizzazione (anche delle organizzazioni più accomodanti e concertative), - la prevalenza dell’utilizzo del lavoro in somministrazione senza il ricorso ad appalti a cooperative o altri soggetti imprenditoriali autonomi (se non per i driver), - il controllo pervasivo della forza lavoro impiegata. Un’opzione quest’ultima sempre più praticata per l’efficienza del modello e per le ricadute determinate dal medesimo sulle dinamiche concorrenziali con gli altri operatori.

 

Un modello che dai confini del comparto della logistica e dei trasporti, limitato ma fondamentale stante anche il ruolo assegnato all’Italia nella competizione internazionale del lavoro, non potrà che essere emulato in altri settori economici per tentare di uscire dalle secche della crisi pandemica e far ripartire un nuovo di ciclo di accumulazione.

 

Ciò in particolare nelle industria manifatturiera di piccole-medie dimensioni del nord che, in un contesto di elevata competizione per rimanere agganciate alle catene del valore che hanno il proprio centro in Germania e nel nord dell’UE, hanno necessità di forza lavoro sempre più precaria e flessibile (se non gratuita, si pensi al lavoro “volontario” degli studenti o agli stage pagati con rimborsi spese esigui), di deflazione salariale e normativa, di una distribuzione logistica e di circolazione dei fattori produttivi veloce e senza strozzature, di automazione per aumentare la produttività.

 

La forza lavoro impiegata nel resto del sistema industriale italiano, sempre più aggredito dal grande capitale finanziario internazionale e delle multinazionali loro espressione che lo acquistano, lo gestiscono e lo trattano, al pari di un qualsiasi prodotto finanziario da valorizzare dove più conviene (Alitalia, GKN, Gianetti Ruote, ex ILVA rappresentano esempi lampanti di un elenco destinato ad allungarsi), è invece tendenzialmente destinata a ingrossare quel vasto bacino di forza lavoro ormai intermittente senza stabilità alcuna, ovvero a subire l’aumento dei livelli di sfruttamento e di repressione in azienda.

 

Il modello Amazon si rivela essere pertanto una possibilità tra le più adeguate a informare l’intera e ampia ristrutturazione dell’organizzazione capitalistica del lavoro alimentata dalla prossima pioggia di miliardi garantiti dal Recovery Fund e plasmata dalle politiche del Governo Draghi sugli esclusivi interessi del capitale produttivo e finanziario a discapito della classe lavoratrice.

Una ristrutturazione che investirà, irrigidendoli verso l’alto, il controllo e il dominio di classe e che comporterà un netto peggioramento delle condizioni di vita per milioni di proletari già compromesse dal rapido aumento dei prezzi e dell’inflazione, senza paracaduti sociali stante l’insufficienza delle misure di sostegno al reddito e del welfare.

 

Un ampio attacco dettato dalla necessità di sostenere livelli di competizione internazionale accelerati, come detto, dall’impatto della pandemia da Covid-19 sulla crisi economica già in atto.

Una crisi strutturale dalla quale il capitalismo, per sua natura intrinseca, non può offrire alcuna via d’uscita praticabile se non il galleggiamento nel tentativo di continuare a trovare modalità di socializzare le perdite e i costi sul proletariato e garantire profitti in un contesto complicato dall’emersione di ostacoli lungo le catene mondiali di approvvigionamento di materie prime e semi-lavorati, dalla saturazione dei mercati, dal progredire inesorabile dell’emergenza ambientale ed ecologica, dalla difficoltà di superare le conseguenze di una pandemia ancora in essere.

 

All’elevato livello dell’attacco di classe portato dai padroni e da un governo che è nei fatti espressione e rappresentanza diretta del capitale produttivo e finanziario deve essere contrapposto un fronte unico di classe, sociale largo e di massa, che chiami tutti all’unità.

 

Lanciamo questo appello perché le strutture sindacali e politiche che hanno dato vita al Patto d’azione e all’Assemblea dei lavoratori combattivi si facciano carico di allargare la base e gli orizzonti di lotta, sollecitare al massimo necessarie e irrimandabili forme di convergenza, indicare una prospettiva di lavoro, di analisi politica, di denuncia e di lotta in un progetto collettivo alla riuscita del quale abbiamo redatto questo nostro contributo e queste sintetiche riflessioni.

 

La crisi del modo di produzione capitalistico in una fase epocale di trasformazione, ci offre oggettivamente innumerevoli occasioni per rilanciare il conflitto. Sta a noi saper cogliere la portata di questa sfida ed attrezzarci per farcene carico dal punto di vista politico complessivo in chiave anticapitalista e dal punto di vista, qui e subito, del rilancio di un’iniziativa di classe sul tutto il territorio.

 

Csa Vittoria www.csavittoria.org - info@csavittoria.org

 

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