Il 5 novembre si terrà a Roma una manifestazione nazionale per la pace.
Non parteciperemo a questa manifestazione per le ragioni che esporremo, ma crediamo che vadano espresse diverse valutazioni in merito alle due diverse valenze, anche molto contraddittorie tra loro, che si potranno esprimere in quella giornata. In primo luogo, in relazione ai contenuti della piattaforma di indizione, a ciò che questi politicamente esprimono unitamente alle molteplici esigenze non “pacifiste” che su questa manifestazione stanno convergendo; in secondo luogo, sulle contraddittorie e generiche, ma positive, aspirazioni che questa data potrà raccogliere.
La prima riflessione è quindi una denuncia e una contrapposizione netta all’ipocrisia di fondo che sta dietro all’organizzazione della manifestazione come rappresentazione del “pacifismo guerrafondaio” di chi parla ora di pace, per recuperare consenso, continuando però a rivendicare con orgoglio la partecipazione diretta alla guerra con l’invio di armi e la piena internità e condivisione dei piani di sviluppo e di escalation militare della NATO e del blocco imperialista occidentale contrapposto quello russo.
Della cosciente mistificazione della realtà, strumentale all’incremento esponenziale della tensione bellica, con il riconoscimento della cosiddetta “resistenza ucraina” spacciata, dalla narrazione tossica del governo Draghi prima e Meloni oggi, per una resistenza di popolo evidentemente contraddetta dall’altissimo livello qualitativo e quantitativo di armamenti a disposizione e della capacità militare dell’esercito regolare ucraino finanziato e addestrato da anni dall’imperialismo USA in funzione antirussa e complessivamente per la propria espansione verso oriente.
E’ invece finalmente coscienza sempre più diffusa che si tratti di criminali che combattono contro altri criminali, sulla pelle del popolo ucraino e del popolo russo e, più in generale, del proletariato europeo e mondiale sul quale si stanno scaricando i costi della guerra.
Non una guerra di popolo ma una una guerra tra imperialismi e i loro eserciti, che incarna e fotografa plasticamente la criminale aspirazione all’egemonia economica, politica e culturale sull’intero pianeta dei diversi attori oggi impegnati in uno scontro armato che è solo la continuazione di quello economico e politico degli scorsi anni.
Una denuncia e una contrapposizione all’utilizzo strumentale della manifestazione per un miserabile investimento di marketing politico finalizzato alla definizione di una nuova immagine per il, cosidetto, centro-”sinistra” uscito devastato dalle scorse elezioni politiche.
Perché la dignità che riconosciamo al “pacifismo etico”, pur nell’incoerenza strutturale che noi critichiamo, non può essere sovradeterminata e svilita dalle posizioni belliciste di chi si ricicla per una presupposta rimonta elettorale.
Perché parlare coerentemente di pace vuole dire mettere in discussione il sistema economico che genera strutturalmente la continua tensione alla guerra per il controllo delle risorse energetiche e naturali, delle quote di mercato, delle rotte commerciali e di approvvigionamento, di territori di importanza strategica, in un contesto di finitezza e di saturazione ormai senza ritorno. Una tendenza organica del capitalismo che cerca di sopravvivere al proprio stesso modello di sviluppo – esasperazione della produzione e dei consumi e compressione dei diritti delle classi subalterne – nell’impossibilità oggettiva di superare le contraddizioni da se stesso create se non attraverso la rapina e la conquista a danno di altri stati capitalisti nelle medesime condizioni.
Perché parlare di pace e opporsi alle logiche di guerra che si combattono sullo scacchiere internazionale vorrebbe dire opporsi radicalmente alle politiche di riarmo e di aumento costante delle spese militari di ogni singolo Stato della NATO e della UE. Un incremento che con il governo Draghi si è assestato ben oltre 30% e che viene pagato sottraendo risorse fondamentali alla già depauperata sanità, all’istruzione, alle politiche sociali e al welfare. Una progressiva e criminale spirale che, da ultimo, ha portato all’insediamento nelle basi NATO di Aviano e di Ghedi di altre 100 testate nucleari aggiornate e con una migliorata capacità di produrre sterminio.
Diversa è la nostra valutazione sulla scelta e la coscienza pacifista delle migliaia di persone che probabilmente decideranno di essere in quella piazza il 5 novembre a Roma. Una scelta che, questa sì, nasce dalla spinta genuina al voler fermare la guerra ora e subito; un desiderio di partecipazione in prima persona, senza più alcuna delega in bianco e fiducia nei confronti di chi ha dirottato un voto “democratico” sui posizioni guerrafondaie comunque mascherate. Una voglia di partecipazione probabilmente motivata anche da una sana rabbia contro il revanscismo della destra oscurantista e reazionaria al governo con la sua nuova connotazione di liberismo in economia e fascismo nella gestione ordinaria del potere.
Una scelta che però continuiamo a non condividere e che anzi critichiamo per la sua genericità, considerando la rimozione oggettiva e soggettiva di un’analisi sulle complesse cause strutturali della guerra.
Sabato 5 novembre saremo invece alla manifestazione nazionale di Napoli, per un’opposizione coerentemente anticapitalista alla guerra imperialista ora combattuta in territorio ucraino. Un grande corteo al quale parteciperemo in uno spezzone unitario dietro uno striscione condiviso con altre realtà nazionali anticapitaliste e dell’autorganizzazione.
Per esprimere un punto di vista di classe sul legame indissolubile tra guerra e crisi strutturale del modo di produzione capitalistico, per addossare la responsabilità al capitalismo della sofferenza e dell’incremento esponenziale della miseria in cui sono costretti a sopravvivere milioni di proletari e proletarie. Una condizione aggravata dall’impatto delle devastanti conseguenze che la guerra produce nella vita quotidiana di lavoratori, disoccupati, precari, studenti, pensionati, in termini di aumento del costo della vita dovuto ai rincari, all’inflazione e alla speculazione sui beni e servizi essenziali.
Una manifestazione, il 5 novembre a Napoli, che rappresenta un passaggio nella costruzione collettiva di una più ampia mobilitazione sociale contro la guerra imperialista, il carovita, la devastazione ambientale, lo sfruttamento e che si opponga a ogni forma di coinvolgimento dell’Italia nella guerra in Ucraina, che si opponga alle spese militari e all’invio di armi, alla militarizzazione del territorio italiano e che si ponga come obiettivo che i costi della crisi siano pagati dal sistema che l’ha prodotta.