VIRUS “COVID-19”: I NODI E LE CONTRADDIZIONI SOSTANZIALI DEL SISTEMA CAPITALISTICO VENGONO AL PETTINE: UN PUNTO DI VISTA DI CLASSE SULLA CRISI SANITARIA.

Inviato da redazione il Mer, 18/03/2020 - 15:05
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VIRUS “COVID-19”: I NODI E LE CONTRADDIZIONI SOSTANZIALI DEL SISTEMA CAPITALISTICO VENGONO AL PETTINE: UN PUNTO DI VISTA DI CLASSE SULLA CRISI SANITARIA.

 

La diffusione ormai definita pandemica dall’OMS del virus “Covid-19” sta evidenziando, esasperandole, le contraddizioni del sistema capitalista. Questo modo di produzione è strutturalmente impossibilitato a interrompere la sua tendenza all’accumulazione e la ricerca del profitto in ogni condizione possibile e, in questo, persegue la conseguente subordinazione alle sue istanze di comando sia della politica di governo che ne asseconda servilmente le direttive, sia soprattutto delle classi subalterne sulle quali già si iniziano a scaricare i costi e che saranno costrette a pagare la futura e inevitabile recessione globale.

 

Un sistema che per fronteggiare la già ben profonda crisi sistemica, lungi dal considerarsi terminata, e le secche i cui è ancora impantanata la catena del valore internazionale, è stato costretto a incrementare il ricorso ai più diversi strumenti finanziari speculativi e alle politiche monetarie, esponendosi così al rischio dell’esplosione (ora arrivata) di nuove crisi.

 

Un sistema che, all’insegna del neoliberismo nelle due versioni date tanto dal centrodestra quanto dal centrosinistra, ha progressivamente scardinato il servizio sanitario nazionale con politiche di taglio metodico dei finanziamenti e dei posti letto, precarizzando ed esternalizzando il personale e che, in particolare nella variante lombarda, ha regalato ampie fette di fondi alla presunta “eccellenza” rappresentata dalla sanità privata.

Mentre invece la sanità pubblica avrebbe bisogno di interventi sia strutturali che straordinari, nell’attuale contesto emergenziale, vi si applicano 20.000 nuovi assunti precari (medici e infermieri) con contratto della durata di un anno non rinnovabile o, peggio, manodopera ancor più precaria in collaborazione.

Una rapina e una depauperazione dello “stato sociale” più che decennale aggravata dalla necessità di non sforare i vincoli di bilancio imposti dalla UE e di assecondare i diktat dei trattati sulle limitazioni alle risorse da destinare alla spesa pubblica e nel complesso ai servizi sociali.

Politiche che oggi, alla prima vera crisi sanitaria che costringe all’ospedalizzazione numeri potenzialmente esorbitante le reali disponibilità di posti in terapia intensiva, stanno presentando lo scontato e prevedibile esito e costringono alla rincorsa di soluzioni che, però, non impediscano alla borghesia nazionale di continuare a drenare risorse a favore dei propri interessi di classe.

 

E quindi, pressoché quotidianamente, si sono inseguiti i provvedimenti comunali, regionali e governativi e i proclami delle forze politiche, spesso contraddittori tra loro tra iniziali allarmismi e successive sottovalutazioni (ricordiamo esponenti della destra come Zaia e Salvini che dopo le critiche iniziali ai provvedimenti di isolamento che enfaticamente “ammazzavano l’economia” in Lombardia e in Veneto, sono diventati paladini della chiusura totale criticando il governo ritenuto troppo lassista e poco severo). Questi provvedimenti hanno avuto quale precipitato concreto gli ultimi decreti che, nei fatti, condannano la classe lavoratrice a una possibilità di movimento strettamente vincolata alla costrizione in catena nelle fabbriche o nei magazzini lasciati in piena attività.

In ciò costringendo i lavoratori, a cui non è data l’alternativa dell’isolamento esiliante del cosiddetto “lavoro agile” - che prefigura l’individualizzazione del rapporto di lavoro tanto cara ai datori di lavoro e peraltro riversa sul lavoratore i costi fissi al posto del padronato (p.e. elettricità, mensa, ecc.) - o che rifiutano o non possono chiedere ferie e/o permessi (si pensi solo alla miriade di false partite IVA, ai lavoratori in nero, ai ricattati nelle mille forme di precariato), a continuare a lavorare in condizioni insalubri e senza sanificazione alcuna, ravvicinati oltre i limiti di sicurezza previsti e senza aver a disposizione i minimi dispositivi di protezione individuale (mascherine, guanti, disinfettanti e igienizzanti, ecc.). Ancora una volta è la classe lavoratrice a pagare i costi di un sistema produttivo anche dal punto di vista del diritto alla salute e alla vita, a molti negato.

 

Ciò che appare come un dispositivo repressivo in realtà rivela la condizione reale dei lavoratori e delle lavoratrici nel sistema produttivo capitalista: l’essere ridotti a semplice merce funzionale e necessaria esclusivamente alla catena del valore.

Una profonda limitazione che il padronato vorrebbe anche di organizzazione, di attività sindacale e di conflitto, in una sorta di collettiva cooptazione per gli interessi “superiori” della produzione e di una nuova versione populista di unità nazionale in uno stato di assedio.

Una forma di pseudo-coesione intorno all’italica bandiera che, partendo dall’oggettiva possibilità di contagio per chiunque, è alimentata da una pericolosa narrazione subculturale (le luci e la musica diffusa dai balconi a una certa ora del giorno, i battimani collettivi, le bandiere tricolori alle finestre, ecc.) che, in un clima di concordia generale, ci vorrebbe tutti coesi in una sola comunità a sostegno del governo, delle istituzioni e nei fatti del capitale.

Ciò in un clima di emergenzialità che non prevede possibilità di critica alcuna, tutta da rinviare a quando il contagio sarà sconfitto, esponendoci nei fatti al rischio che la cappa diffusa permanga in una limitazione indefinita e in una eccezionalità non più contingente, nella quale gli interessi del padronato rappresenteranno l’unico orizzonte possibile.

 

E quindi sono già stati sterilizzati gli scioperi nei trasporti, in particolare aereo, e del 9 marzo da tempo programmati e annunciati, poi sono state vietate tutte le manifestazioni e ora è iniziata la criminalizzazione.

Paradigmatiche infatti sono state le parole del presidente ultras di Confindustria Lombardia Bonometti che ha accusato quei lavoratori e quelle lavoratrici di tutte le categorie che spontaneamente hanno deciso di scioperare o le organizzazioni di base e conflittuali, in primis il SI Cobas che ha dichiarato lo stato di agitazione permanente nei magazzini, di “strumentalizzazione e irresponsabilità”. Lavoratori e lavoratrici completamente abbandonati dai sindacati di regime CGIL, CISL e UIL che, anche in questa circostanza, si sono servilmente piegati agli interessi padronali e alla necessità di continuare il più possibile la produzione manifatturiera e logistica. Nel paese in cui muoiono in media tre lavoratori al giorno, la classe operaia è sempre più mero lavoro vivo da vampirizzare e da condannare anche ai rischi connessi alla propagazione del virus.

 

Si assiste così a un’ipocrita inversione di soggetto e di responsabilità che tenta di criminalizzare chi in realtà correttamente rifiuta e si ribella all’assenza di tutela e alla condizione imposta di “topi in gabbia”, all’irregimentazione in supina attesa della plausibile elemosina governativa e alla rinuncia coatta a parte del proprio salario (a mezzo cassa integrazione o congedi parentali) per non rischiare la salute.

 

Uno stravolgimento di responsabilità da parte di un degno epigone di un sistema economico che affama e depreda risorse, popoli e territori, che distrugge vite (umane e non umane) e, nel complesso, lo stesso pianeta che abitiamo in un costante saccheggio sempre più aggressivo, foriero di catastrofi economiche ed ecologiche, si pensi - solo quale esempio mantenuto sotto traccia- all’invasione di locuste che sta distruggendo la già fragile economia del continente africano, devastato da secoli di colonialismo e oggi vera e propria discarica del “ricco” occidente, e alle conseguenze sociali che ne scaturiranno.

 

Un sistema economico che per la sua sopravvivenza sposta risorse dai rimasugli del welfare a spese militari sempre più invasive in vista di possibili scenari di frattura ed entrata in crisi dei sistemi sociali che il modo di produzione capitalistico produce.

 

Ogni ecosistema è rapinato e devastato dal capitalismo, aumentano la deforestazione e la desertificazione, le monocolture distruggono le biodiversità, l’aumento irreversibile della temperatura terrestre produce ciclicamente catastrofi naturali, l’agribusiness che contribuisce a provocare le zoonosi - cioè le malattie, come il Covid-19, che hanno origine da un animale e infettano l’uomo - sono ormai una costante a causa delle condizioni di sfruttamento intensivo nel complesso animal-industriale.

 

Un’accumulazione predatoria e un ipersfruttamento della natura nel suo complesso che non risparmiano alcun territorio e nessuna specie vivente e che non potevano che produrre, tra i suoi rovinosi effetti sociali, anche questa pandemia.

Utilizzando il materialismo storico come chiave interpretativa della realtà, possiamo tranquillamente affermare che questi ulteriori due dati ci indicano l’assenza di ogni possibilità di sviluppo di forze produttive nel sistema capitalistico, impossibilitato a dare soluzioni positive e stabili allo sviluppo dello stesso “genere umano”. Da qui la nostra complessiva critica di “sistema” e non ai singoli provvedimenti di questo o altri governi. La nostra è una critica strutturale e antagonistica a un sistema economico che nella sua lunga agonia sta trascinando con sé miliardi di esseri umani in tutto il pianeta e che impone di prendere in considerazione un’alternativa di società basata sulla centralità dell’uomo e dei suoi bisogni reali nel rispetto della natura che ci circonda.

 

Un capitolo a parte e la nostra piena solidarietà meritano le proteste, le rivolte e le legittime ribellioni hanno agitato le carceri italiane. Anche la costante ed esplosiva situazione del contesto della restrizione e soprattutto della povertà ivi contenuta, infatti, non poteva che innescarsi alla notizia dell’ulteriore stretta decisa. Ma al legittimo timore degli esiti imprevedibili che avrebbe un contagio all’interno delle mura, alle strutturali e insopportabili condizioni di sovraffollamento e alle restrizioni imposte ai permessi e ai colloqui, alla richiesta di amnistia e indulto o, quantomeno, di misure alternative e di custodia attenuata, è stata data l’unica risposta che lo stato conosca: la cieca e violenta repressione che ha causato la morte di 15 persone in circostanze che i responsabili ministeriali e carcerari non si sono ancora degnati di chiarire. Vere e proprie esecuzioni di chi è costretto a vivere ristretto e che ha espresso una conflittualità assente da decenni su questioni appunto non solo direttamente collegate alla contingenza dell’epidemia in atto.

 

In definitiva, è l’intero sistema produttivo a essere scosso e messo in discussione dalle stesse contraddizioni di cui è gravido nel proprio sviluppo e nelle proprie finalità. L’Italia e l’intera UE, al pari degli USA e prima della Cina, si stanno già muovendo con urgenti stanziamenti miliardari, tagli dei tassi e piani di stimolo, per cercare di arginare la caduta libera.

Come detto, all’orizzonte si prepara un’altra stagione di sacrifici per le classi subalterne cui saranno accollati i costi di queste manovre.

 

A questi e al progetto di ristrutturazione padronale bisognerà rispondere con gli strumenti del conflitto di classe e con la ricerca dell’unità, anche di quella conflittualità spontanea e diffusa che si espressa in questi giorni (che ha visto scavalcare le dirigenze sindacali) cui deve essere data una direzione di classe e anticapitalista.

E’ compito di tutti, dal sindacalismo conflittuale e di classe, alle realtà politiche che agiscono nei territori, ai e alle militanti, comprendere anche quali saranno i nuovi terreni sui quali dispiegare un conflitto ancor più improcrastinabile.

Un conflitto che lotta dopo lotta, a partire dai bisogni materiali di milioni di uomini e donne proletari, tra cui l’inalienabile diritto alla salute, abbia come prospettiva concreta il necessario superamento del sistema di produzione capitalista e dia una risposta più complessiva e intrinsecamente politica all’attacco che quotidianamente il padronato conduce nei confronti del lavoro.

 

I compagni e le compagne del Csa Vittoria

www.csavittoria.org - info@csavittoria.org

 

"In questa fase dei rapporti sociali prodotti dal modo di produzione capitalistico la vera trasgressione è pensare. Pensare contro le radici del sistema e non  fermarsi solo alle sue  storture più evidenti o solo alle sue rappresentazioni  politiche momentanee o parziali e le sue sovrastrutture culturali, comportamentali o religiose.
Queste vanno smascherate per lasciare a nudo il crimine vero : il capitalismo."