Brevi riflessioni critiche e autocritiche sul corteo del 4 marzo a Milano sulla strage di Cutro

Inviato da redazione il Mar, 07/03/2023 - 13:57
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Sabato 4 marzo scorso abbiamo deciso di partecipare alla manifestazione di Milano contro la strage di stato dei migranti sulle spiagge calabresi.                                                           
Una manifestazione indetta da diverse Ong che si occupano del salvataggio in mare dei naufraghi : Mediterranea, Medici senza  Frontiere, ResQ People, Emergency ed altre.
Una manifestazione nata in sordina come moto spontaneo e che invece ha visto affluire in piazza più di un migliaio di partecipanti. Un'ottima risposta dunque, anche se ancora purtroppo non all'altezza di quanto la situazione richiederebbe da un punto di vista numerico ma non solo.
Rinviando a precedenti riflessioni l'analisi sul razzismo di stato e sul significato delle miserabili dichiarazioni del ministro Piantedosi, vogliamo ora provare a ragionare, in senso critico e autocritico, sulla valenza della nostra presenza che ha provato a rappresentare, insieme ad altri, un'opzione politica anticapitalista in quel corteo che ha certamente rappresentato una forte denuncia e un'indignazione profonda, ma si è dimostrato incapace di superare un'impronta che possiamo definire umanitaria senza voler attribuire a questa una negatività in quanto tale.
Abbiamo infatti anche noi in prima persona la consapevolezza di quanto dolore e di quanta profonda rabbia questa strage abbia provocato, e di come questi fattori siano stati la scintilla di una spinta emotiva che ha portato  molte e molti a scendere in piazza con una voglia di partecipazione e di condivisione di questa rabbia contro queste morti e l'ipocrisia di un governo di assassini.
Ma questo non è sufficiente.
 
Siamo davanti ad un governo rappresentante di interessi di classe ben infarcito di razzismo militante che infatti, ancora oggi, prova a nascondere le proprie responsabilità sulla criminalizzazione dell'immigrazione e l'intenzionale assenza di politiche mirate all'accoglienza, scaricando ogni colpa sugli scafisti per nascondere invece le cause epocali del fenomeno migratorio  invece provocato da guerre (di rapina imperialista) o fame (da rapina per profitto ed esproprio di terre)  o dalla combinazione di entrambi i fattori in un contesto di crisi complessiva dell'ecosistema globale (alternanza di siccità ed alluvioni) a causa del cambiamento climatico causato da un modo di produzione che massimizza per il profitto lo sfruttamento di esseri umani e delle risorse del pianeta. 
 
Il nodo centrale è quindi quello di un "che fare" anticapitalista che riesca a mettere in discussione la complessità di un sistema economico senza rincorrere impercorribili illusioni riformiste che pensano di trovare rimedi al deflagrare delle contraddizioni di classe e sociali o mettere cerotti sulle profonde sofferenze delle classi subalterne in tutto il pianeta.
 
La questione che poniamo, certamente tutta interna al circuito delle realtà che si muovono su un terreno di classe in una prospettiva anticapitalista, è quella dell' insufficiente capacità di rispondere unitariamente con coerenza e continuità alle domande che anche questa piazza ha posto
Una piazza che si è oggettivamente venuta a definire senza una traiettoria politica ufficialmente  dichiarata se non quella di una genuina ma generica denuncia della barbarie di questa strage e , da questo punto di vista, è risultata evidente la mancanza di un' interpretazione classista sui costanti flussi di migratori anche a causa dell'assenza in piazza delle diverse forme organizzate della classe. 
Questa è una "nostra" responsabilità collettiva e un errore grave; un'altra occasione persa di porre pezzi importanti di proletariato immigrato, e non, al centro dello scontro politico sulla strage di stato.
 
Sappiamo benissimo che queste piazze, molto simili a quelle del mondo "pacifista",  non siano certamente piazze neutre. 
Sono ovviamente terreno di incontro tra la positiva esigenza di partecipazione di massa contro guerra e razzismo di stato di un " popolo della sinistra" ancora rintronato dopo l'insediamento della Meloni e della sua accozzaglia di governo in camicia nera, ed il tentativo di ricomporre un terreno di incontro tra le mille componenti che si collocano all'interno di una nuova possibile "sinistra di governo".
In questo senso crediamo che la presenza organizzata di una componente anticapitalista avrebbe potuto modificare lo scenario di quella come anche altre piazze provando a coniugare ogni questione, guerra come anche il razzismo,  da un punto di vista di classe.
Ci sentiamo anche di aggiungere, per chi fosse più attento alle dinamiche del "confronto" all'interno dellle realtà anticapitalista, che anche da questo 4 marzo, come anche dalla proliferazione identitaria delle piazze contro la guerra del 25 febbraio, dovremmo tutte e tutti imparare che la naturale ricerca del proprio "posizionamento ideologico" o si pone al servizio di processi collettivi o rimane solo una bandiera di settarismo.
 
Crediamo che la situazione richieda un impegno e una determinazione nella ricerca di processi di convergenza non più rimandabili
 
Per la costruzione di un fronte di classe contro il razzismo di stato e le sue stragi.
Con tutti gli immigrati solidarietà, fuori i razzisti dalla storia!